Abolire la periferia (un po’ come i problemi)
Tradizionalmente, c’è un modo classico attraverso il quale la sinistra, specialmente in tempi di politicamente corretto, tende a risolvere i problemi: 1) definirli opportunità 2) cambiarne il nome. Certo, non si può generalizzare, ma c’è davvero la tendenza a non risolvere i nodi amministrativi che creano disagi e carenze. Anche in tema di degrado. Per questo, pur senza volersi accanire contro l’attuale amministrazione comunale di Milano, si può davvero riporre poca fiducia nell’ultimo proclama di Palazzo Marino, quello del sindaco Giuliano Pisapia, che ieri è intervenuto all’incontro «Quale città per il nostro futuro», al Meeting di Rimini.
Bello (e “bergogliano) il tema indicato dal titolo: «Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo». Suggestivo anche l’orizzonte disegnato dal sindaco, soprattutto se inquadrato in uno scenario di riforma istituzionale qual è l’introduzione della città metropolitana, che fa pensare alla nascita di nuovi equilibri urbanistici: Milano è “una città che crede che si possa arrivare alla eliminazione del concetto stesso di periferia, e questo sarà possibile con l’introduzione della città metropolitana”. Quando poi però si passa a declinarlo concretamente allora iniziano i guai. “Milano ogni sera dà ospitalità a oltre 1300, ultimamente 1700 profughi dalla Siria, significa che è una città che ha superato il concetto di periferia, perché quei profughi li troviamo in pieno centro di Milano, nei giardini di porta Venezia creando anche disagi”. Se la cosiddetta accoglienza in Porta Venezia è il modello di superamento delle periferie, allora è chiaro che non è una cosa seria. E c’è davvero il rischio che non ci sarà più una distinzione fra centro, periferia e hinterland, perché l’area metropolitana sarà tutta una grande periferia. Basta cambiarle nome.