Il presidente del Consiglio è arrivato a Milano per constatare che le tasse sono troppo alte. Non era Massimo Catalano (il mitico protagonista di “Quelli della notte” noto come il “re delle banalità”, per esempio “E’ meglio innamorarsi di una donna bella, intelligente e ricca anziché di un mostro, cretina e senza una lira”). No, era Matteo Renzi che – evidentemente in vena di scoperte coraggiose – ha notato come il peso del fisco sia oggi una zavorra devastante per le imprese e un pensiero assillante delle famiglie. Lo ha fatto a Milano, attenzione, città record per crescita della pressione fiscale, un po’ per colpa dell’amministrazione comunale – che ha addirittura aumentato del 50% i biglietti dell’Atm – in parte per responsabilità degli stessi governi centrali, fra cui l’ultimo. Quel poco o niente di politiche economiche che sono state condotte negli ultimi anni, infatti, hanno seguito uno schema peculiare: recuperare risorse tagliando gli enti locali (o addirittura chiedendo soldi ai Comuni, trasformati in esattori). I suddetti enti locali non hanno avuto molte scelte: hanno aumentato a loro volta i tributi – lo ha fatto Milano con particolare zelo – o vendere, o tagliare i servizi. Lo scenario appena descritto sarà destinato a ripetersi se Renzi porterà fino in fondo la sua ultima promessa: eliminare la tassa sulla casa. La Uil, settore Casa appunto, ha calcolato cosa accadrebbe se venisse di punto in bianco a mancare, nelle casse dei Comuni, tutto il gettito derivante dalla Tasi: sarebbe «saggio e opportuno» – si legge nello studio – che il premier staccasse «8mila assegni intestati ai Comuni» che andrebbero dai 524 milioni per Roma ai 206 di Milano fino ai 9 milioni per Reggio Calabria. Sono le risorse che dovranno essere ridate ai sindaci per compensare l’eliminazione della tassazione sulla prima casa. La copertura certa è «vitale», secondo gli studiosi del sindacato, per evitare altre stangate locali.

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