La Pavia antifascista è tornata in piazza, stasera. Con un nuovo corteo, le varie forze della sinistra hanno voluto organizzare un presidio dopo i fatti del 5 novembre, che avevano avuto un’eco anche nazionale. Quella sera un corteo, autorizzato, aveva attraversato la città per commemorare Emanuele Zilli, un militante della destra morto nel 1973 in un incidente stradale per qualcuno misterioso. Il fatto stesso che la destra fosse comparsa per le strade del centro era intollerabile per un pezzo di sinistra, che aveva voluto promuovere una contro manifestazione. L’Anpi aveva chiesto alla questura l’ok per un presidio in piazzale Ghinaglia, l’area appena oltre il ponte vecchio sul fiume, verso il caratteristico Borgo Ticino. Lo scopo dell’associazione dei partigiani era quello di presidiare un luogo simbolo della sinistra locale, Ferruccio Ghinaglia era infatti uno dei primi martiri dell’antifascismo, un comunista pavese ucciso da una squadraccia nel 1921. Il corteo di piazzale Ghinaglia non era mai stato autorizzato dalla questura, eppure si è era tenuto. E quella sera Pavia, cittadina solitamente tranquilla, era piombata di colpo a un clima da anni da anni Settanta, con scontri e contrapposizioni che avevano bloccato un pezzo di città. Ne erano seguite polemiche a non finire, e avevano investito anche il sindaco, il solitamente defilato e sobrio Massimo Depaoli (Pd). Ne è nato un putiferio mai visto sulle sponde del Ticino. E la sinistra pavese e lombarda si è agitata per giorni, dopo il 5 novembre.

Ecco dunque l’ultimo capitolo, quello appena concluso, con un evento cui hanno partecipato 500 persone secondo gli organizzatori: “Ciò che è accaduto il 5 novembre a Pavia non ha precedenti nella storia locale degli ultimi decenni – ha scritto la rete convocando la manifestazione – Un presidio statico, pacifico e antifascista è stato duramente represso dalla polizia in una dinamica di scellerata gestione dell’ordine pubblico. Ma la Rete antifascista non si fa intimidire. Noi non ci fermiamo. Nessun cittadino democratico può fermarsi”.

Questi i proclami, ma la vicenda ha infilato la sinistra in una situazione grottesca. Alcuni dei suoi più noti esponenti locali, intanto, si sono trovati nell’imbarazzante posizione di partecipare a un’iniziativa che non aveva avuto un pieno via libera dalle autorità deputate a garantire la pubblica sicurezza. La cosiddetta Pavia antifascista, è vero, ha protestato contro un corteo di autodichiarati “camerati” (nei manifesti), e questo fa parte del suo tradizionale bagaglio culturale, ma l’allarme contro il pericolo antifascista incombente è apparso anacroninistico o esagerato. E va detto che la manifestazione dell’estrema destra, per quanto non gradevole politicamente, non aveva creato problemi o danni (se non il disagio estetico di chi non tollera una sfilata definita paramilitare, per via dell’inquadramento dei manifestanti). Certo, qualcuno non a torto ricorda che in Italia esiste l’illecita apologia di fascismo, ma non si può chiedere alle istituzioni di vietare manifestazioni politiche in previsione di un illecito che (ancora) non si è verificato, fosse pure il controverso saluto romano. No, prefettura e questura hanno tenuto una condotta che sembra lineare. Il problema è parso un altro: l’assurda pretesa della sinistra di cancellare fisicamente la presenza degli altri, della destra, a prescindere dall’andamento del corteo e dal suo esito. Un riflesso che fa riflettere su quanto l’antifascismo ideologico, alla fine, arrivi alla conclusione di negare le manifestazioni esteriori o folkloristiche del fascismo, senza comprendere le ragioni vere e profonde della libertà.

PAVIA

 

 

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