“Non molleremo” ha urlato Joshua Wong prima di essere portato via, verso quel carcere cui lo hanno destinato il regime di Pechino e le locali autorità filo-cinesi.

Il volto simbolo del movimento per la libertà di Hong Kong – lo riporta “Hong Kong Free Press“- è stato condannato a 13 mesi e mezzo di reclusione con l’accusa di aver organizzato e promosso nel giugno dello scorso anno un raduno non autorizzato. Ma la mannaia del tribunale si è abbattuta stamani su altri due leader del movimento per la democrazia. Insieme a Wong, sono stati condannati anche gli attivisti Agnes Chow e Ivan Lam. Per loro, rispettivamente, dieci e sette mesi di carcere.

Agnes Chow (23 anni) – lo ricorda stamani l’Huffington post – è tra le 100 donne più ispiranti e influenti del mondo secondo la Bbc. I suoi sostenitori – si legge – le hanno dato il soprannome di “Mulan”, che evoca la leggendaria eroina cinese che ha combattuto per salvare la sua famiglia e il Paese. Agnes è diventata una leader del partito Demosistō e poi del “Movimento degli Ombrelli” durante le proteste del 2014. Si era presentata alle elezioni del 2018 nel campo pro-democrazia, ma le è stato impedito di candidarsi in base all’ostracismo promosso da Pechino contro il suo partito, accusato di sostenere l’autodeterminazione di Hong Kong.

Secondo quanto riferito da Francesco Radicioni nella sua corrispondenza mattutina a “Radio Radicale“, Joshua Wong prima di essere portato fuori dall’aula del tribunale hongkonghese ha urlato: “So che la strada sarà dura ma resisterò”. Rispondendogli, gli altri attivisti presenti in aula hanno urlato con forza lo slogan che tradotto significa “Forza Hong Kong”. Wong già la scorsa settimana era stato portato in carcere in attesa della sentenza, e si era dichiarato colpevole. L’imputazione si riferisce a una protesta del 21 giugno dello scorso anno, quando migliaia di persone protestarono contro l’eccessiva forza usata dagli agenti sui manifestanti locali, impegnati a contestare un disegno di legge sull’estradizione dei sospetti in Cina.

I tre coraggiosi attivisti sono ormai famosi in tutto il mondo e la condanna potrebbe rivelarsi un boomerang per il regime comunista, contribuendo infine alla loro causa ideale: la libertà di Hong Kong. Ciononostante, Pechino ha deciso di inasprire il suo potere oppressivo sulla ex colonia britannica, oggi in un regime di semi-autonomia, uno status speciale che gli studenti e i democratici vogliono preservare o rafforzare e che la Cina intende invece soffocare, tanto da aver imposto (a giugno) una contestata legge sulla sicurezza nazionale che reprime il dissenso.

Poche, in Italia, le voci che si sono levate in difesa dei democratici di Hong Kong. Come del resto rarissime sono le proteste per le discriminazioni portate contro gli iuguri, una minoranza etnica e religiosa perseguitata. La cosiddetta “islamofobia”, a quanto pare, in questo caso non esiste, mentre in Europa viene riscontrata spesso quando non c’è.

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