Come sempre, sdegno per Israele e per gli Usa.  Sta per chiudersi un anno pieno eventi tragici, e speriamo irripetibili. Ma su un fronte almeno, sta per chiudersi esattamente come è iniziato: col biasimo sdegnato nei confronti degli Usa e di Israele. Ricordate? Era il 3 gennaio quando fu ucciso il generale Qasem Soleimani, capo della Brigata santa delle forze “Quds“, l’unità delle Guardie della Rivoluzione iraniane responsabile per la diffusione dell’ideologia khomeinista fuori dalla Repubblica Islamica.

Molti condannarono quell’azione senza alcuna esitazione e senza una parvenza di equilibrio. In certi casi, gli stessi che avevano contestato gli interventi militari statunitensi sostenendo che fossero preferibili azioni mirate e individuali su target minacciosi.

In quei giorni di gennaio, qualcuno predisse un incendio globale, e una destabilizzazione di tutta la regione mediorientale. Ovviamente non successe niente di tutto ciò e quell’azione fu invece il preludio di 12 mesi di saggezza e moderazione americana nell’area più calda del mondo. Una saggezza voluta o comunque assecondata da Donald Trump, che è valsa ottimi risultati, come l’apertura di canali diplomatici fondamentali, emersi poi con la firma degli storici accordi di Abramo, capaci di costruire  ponti insperati fra Israele e il mondo arabo-sunnita.

La stessa cosa si sta ripetendo oggi, con l’uccisione di Mohsen Fakhrizadeh scienziato e ufficiale del Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica, capo del programma nucleare iraniano.

L’opinione pubblica, guidata sapientemente da un mainstream politicamente orientato, giudica, condanna, biasima con un approccio schematico e semplicistico. E soprattutto non coglie – o finge di non cogliere – la differenza che passa fra una democrazia che si difende – anche con la forza – e un regime teocratico che minaccia.

Se i suoi nemici smettessero di attaccare Israele finirebbe la guerra, se Israele smettesse di armarsi e difendersi finirebbe lo Stato ebraico. Israele si difende, l’Iran fa la corsa al nucleare militare, e intanto minaccia e aggredisce, prefigurando nuovi “olocausti”, con tanto di conto alla rovescia del tempo mancante alla distruzione di quella che chiama “entità sionista”.

Non si discosta troppo dal mainstream, purtropppo, una voce molto nota e ascoltata, per giunta non certo insensibile alla storia e all’identità del mondo ebraico: Enrico Mentana. Il direttore del Tg 7 l’altra sera prova di una sorprendente insensibilità alle ragioni di Israele, commentando l’eliminazione di Fakhrizadeh.

E il suo commento ha molto addolorato alcuni esponenti del mondo ebraico italiano. Ecco cosa gli ha scritto fra l’altro, Roberta Vital, dell’associazione delle donne ebree d’Italia: “Ad oggi l’unica certezza è che, se non fosse per l’Iron Dome, un sistema di sicurezza anti missile che lo protegge come una mano dal cielo, oggi la minuscola Israele non esisterebbe più”. “Non si preoccupi – ha aggiunto rivolta al grande giornalista – non si sforzi di sollecitare l’immaginazione a parti inverse, perché il mondo è sordo e rimane in silenzio da tempi lontani e ben prima della nascita dello Stato di Israele. A prova di questo, le innumerevoli condanne dell’Onu nei confronti di chi combatte per sopravvivere e non contro chi mira ad annientare. Nel silenzio e anche nel suo”.