Gli affari, i giganteschi investimenti immobiliari, il sostegno alle organizzazioni «culturali» islamiche, il finanziamento alle moschee. L’Europa è già stata invasa dal Qatar.

Non si tratta solo dello shopping stellare nel «real estate» fra hotel di lusso, grandi marchi e complessi da sogno nelle maggiori città italiane. Per subalternità ideologica o per convenienza, negli ultimi due decenni l’Europa ha subito una colonizzazione strisciante dell’Emirato, che ha dimensioni paragonabili all’Abruzzo ma vanta mezzi finanziari smisurati ed esporta un islamismo che ha l’ambizione di essere egemone, anche in Italia.

Da Saronno a Mazara del Vallo, un flusso ingente e capillare di denaro partito dal Qatar ha attraversato la Penisola. Quasi 23 milioni destinati a 45 progetti di altrettante moschee. Il Qatar è divenuto «il principale finanziatore di centri islamici in Europa, perlopiù legati ai Fratelli musulmani», ha attestato uno dei massimi esperti mondiali di integralismo, l’italiano Lorenzo Vidino. Ed è solo la punta dell’iceberg. Ammorbidito dal politicamente corretto veicolato dalla sinistra, l’intero continente si è fatto tagliare come il burro dall’islam ideologico affiliato alla casa madre qatariota. Ma gli eventi che hanno sconvolto l’Europarlamento due giorni fa, con arresti e interrogatori, fanno apparire il tutto ancor più inquietante: forse l’auto-sottomissione non era dettata solo da ingenuità.

La permeabilità dell’Ue, o dei Paesi che ne fatto parte, è storia di questi anni. A novembre 2021 è scoppiato l’ultimo caso: una campagna di comunicazione in grande stile, sponsorizzata dall’Ue e lanciata dal Consiglio d’Europa, presentava il velo come emblema di libertà. «La bellezza è nella diversità come la libertà è nell’hijab» si leggeva nei «manifesti», poi ritirati fra proteste e imbarazzi. La campagna era concepita nell’ambito della immancabile iniziativa contro i messaggi d’odio, e d’altra parte l’Europa ha finanziato dei report sull’islamofobia stilati in collaborazione con la Turchia, alleato del Qatar, nel nome dello stesso binomio: islam ed egemonia.

Sostenuto dal Qatar, grazie al quale ha avuto pure una cattedra a Oxford, è Tariq Ramadan. Nipote del fondatore dei Fratelli musulmani, il professore-predicatore era considerato l’ideologo di un islam capace di infiammare le masse e di sedurre le élite progressiste occidentali. Nel 2016 a Milano, a pochi giorni dalle Comunali, fu ospite di un evento promosso dall’European muslim alla Camera del Lavoro.

E nel Milanese si è molto parlato della «Qatar Charity», poderosa «ong» dell’Emirato – in realtà legata al governo – associata all’islam politico e capace – a detta dell’Ucoii (l’Unione delle comunità islamiche italiane) – di investire quei milioni destinati alle moschee. Di quel fiume di denaro si occupava Qatar papers, libro-inchiesta di Christian Chesnot e Georges Malbrunot, due decani del giornalismo francese. I 5 milioni diretti a Bergamo hanno innescato un contenzioso finito in tribunale. A Brescia una targa ricorda che il parcheggio – inaugurato «nel nome di Allah» dallo sceicco Hamad Bin Jassim Al Thani – è stato realizzato con 100mila euro della Qatar Charity. Un capitolo del libro sui documenti qatarioti era dedicato a Sesto San Giovanni, un tempo città simbolo della sinistra, poi scelta per un mega minareto. Matteo Salvini si oppose e anche Giorgia Meloni disse no alla «più grande moschea del Nord Italia». Era il 2017: «Una moschea – scrisse – in gran parte finanziata dalla Qatar Charity Foundation ente benefico più volte associato al fondamentalismo islamico». «La sinistra buonista si sta crescendo il mostro in casa – sentenziò – e vuole trasformare la ex Stalingrado nella nuova Mecca d’Italia».