Scioccate, sorprese, incredule. Di fronte al corto circuito delle femministe che difendono il velo, alle giovani iraniane non resta che la delusione, e l’amara sensazione che la battaglia per la libertà sarà ancora più faticosa, più lunga, più dolorosa.

«Quando vedono che nei Paesi occidentali le richieste di libertà sono ignorate, e sono difese ideologie e norme liberticide, gli iraniani ne rimangono scioccati», dice Atussa, architetto che vive in Italia. «Il fatto che gli attivisti per i diritti umani o delle donne supportino ideologie oscurantiste e costumi obbligati – spiega – rappresenta un vero e proprio schiaffo per chi lotta per le libertà».

Sa di cosa parla, la giovane iraniana. Per 30 anni ha vissuto in patria, dove ha visto, e anche subito un vero e proprio lavaggio del cervello, anche sul velo. «Altro che libera scelta obietta – è un obbligo di legge o sociale, o tradizionale, impostato dagli uomini. La maggior parte delle donne che si copre in quel modo – racconta ha subito un lavaggio del cervello. Anche la scuola ti insegna che devi coprirti, che c’è la legge islamica». «Mia mamma andava a scuola con la gonna, senza velo, poi è arrivata la Rivoluzione, e poi con la guerra Iran-Iraq la situazione è peggiorata ancora, molto. Mio padre e mio zio sono stati torturati». «Io – ricorda – sono cresciuta in una famiglia aperta ma fuori l’oppressione si sentiva. Avevo questi ricordi di famiglia, ma a scuola non potevo né fare né dire nulla, nemmeno parlare con le amiche. Non potevamo neanche fidarci, c’erano spie del regime. Sono ricordi molto tristi. Avevo bei voti, potevo andare in un’università importante, ma non mi fu consentito perché venne fuori che nel mio venerdì non c’era la preghiera. Stessa cosa in seguito, mi fu impedito per un colloquio religioso con la Polizia morale, in cui si inventarono che si vedeva sul mio viso il trucco della sera prima».

 

Un vissuto come quello di altre, quello di Atussa. Ma alla luce di questo vissuto, ai suoi occhi, le ambiguità e le cantonate delle femministe suonano come vere e proprie assurdità. «Sono stata anche arrestata. Mi hanno interrogato e perquisito perché avevo un pantalone con tante tasche. Hanno scritto un dossier su di me che mi impediva di lavorare in uffici pubblici. Non avendo vissuto tutto questo dice – le femministe non capiscono, fanno confusione, non sono lucide, e quindi pensano che coprirsi col velo sia una scelta personale da difendere».

L’incomprensione è drammatica, mortificante. «Sorprende – dice Atussa – che prendano posizione per la “scelta” di coprirsi e non per la libertà di chi il velo non lo vuole». «Prima di Masha Amini non avevamo voce» racconta. All’inizio, alcuni gruppi in Italia hanno fatto qualcosa, in seguito niente: il vuoto. «Quando parli loro e dici: “Perché non ci aiutate a fare questa iniziativa?” ci rispondono offendendoci, dandoci etichette come “razziste” o “islamofobe”». «Purtroppo osserva – alcune di queste associazioni femministe, che seguono una visione di sinistra e sostengono idee anti-imperialiste, sembrano condividere dei valori con la Repubblica islamica». «Non riesco a mettermi nei loro panni», confessa. «Nell’islamismo ipotizza – ci sono elementi di estrema sinistra, o di estrema destra».

Ad Atussa piace definirsi una «attivista indipendente». Un anno fa, la lotta per la libertà in Iran si è riaccesa. Masha è stata uccisa per una ciocca di capelli fuori posto, e da quel giorno, da quell’orrore, è nata la forza disperata di una ribellione contro il regime teocratico. «Il governo dittatoriale iraniano è molto aggressivo. Tanti sono stati imprigionati, o impiccati. La repressione vuole mettere a tacere la rivoluzione» dice, e spiega che la rivolta non è «contro una religione o un modo di vestire, ma è una lotta contro un intero sistema di regime liberticida». Sa che l’aiuto dell’Occidente potrebbe «accelerare questo processo», ma sull’esito non ha dubbi: «Il popolo iraniano persevererà nella sua lotta contro il regime islamista e la vincerà, con o senza il supporto dell’Occidente e degli attivisti occidentali».

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