Il Sol dell’avvenire di Moretti è insincero e bruttino

Il “Sol dell’avvenire”? Bruttino. Il film di Nanni Moretti Non lascia il segno. E non per ragioni politiche. O meglio, non solo per quelle.

Visto su Sky appena uscito, il film è oggettivamente deludente, anche per gli estimatori di Moretti. E delude su più fronti.

Partiamo da qui: “Le parole sono importanti” diceva Moretti. Anche i film sono importanti, più delle idee: la qualità di un prodotto autoriale è più importante di ciò che pensa l’autore. Vale per i registi e vale anche per l’eletta schiera dei cantautori: ciò che conta è che le canzoni siano belle, che le parole siano evocative. Un modo laico di guardare uno spettacolo è farselo piacere – oppure no – a prescindere dal personaggio.

Moretti non può essere un’eccezione. E ne ha fatte di cose belle, al di là della sovrastruttura politica, e nonostante la sua presenza pervasiva in mezzo alla scena, quella per cui Dino Risi – maestro della commedia, e non solo – lo prendeva in giro: “Spostati, Nanni, e fammi  vedere il film”.

Per farla breve. “Il sol dell’avvenire” non è bello da vedere. Non emoziona. Non diverte, non incanta.

Eppure nel “Colibrì” di Cristina Comencini, dove compariva nei panni di uno psicanalista, la prova d’attore di Moretti era stata anche misurata, efficace. In questo film suo invece Nanni si allarga, sta sempre in scena e ruba la scena al film che sta dentro il film. Oltretutto lo fa senza divertire, anzi irritando un po’. Parla a rilento, fa il verso a se stesso, si cita, fa del manierismo.

Questo si può dire della veste della pellicola. Il “dentro”, poi, è più discutibile del solito. Nel film che sta dentro il film, quello con Silvio Orlando e Barbara Bobulova, si parla del 1956. Dei “fatti di Ungheria” (e chissà perché si chiamano “i fatti” e non “l’invasione dell’Ungheria” da parte dell’Urss).

A quasi 70 anni di distanza, Moretti piazza la sua storia nei giorni drammatici dell’intervento sovietico a Budapest. In quei giorni, i carri armati russi spianarono i fermenti riformisti e nazionali degli studenti e degli operai ungheresi. Lo fecero con l’appoggio totale degli altri compagni comunisti europei, e ovviamente anche del Pci. E quella repressione violenta e autoritaria resta come una macchia indelebile nella storia del comunismo europeo (questo era, d’altra parte).

Moretti è del ’53, e all’epoca aveva tre anni. Eppure sembra volersi togliere un peso, un peso che grava non su di lui personalmente, ma sulla storia alla quale si collega. Ecco, sembra voler togliere anche dalla storia del Pci. E qui non ci siamo proprio, ci dispiace. Orlando fa la parte di un redattore dell’Unità e dirigente di sezione che con zelo, almeno inizialmente, osserva le direttive del partito. La Bobulova invece incarna il dissenso, il dubbio e alla fine la ribellione liberatoria di un pezzo di partito. E qui siamo alla pura fantasia, perché il Pci fu compattissimo dalla parte dell’Urss e contro gli ungheresi. Fatta eccezione per Giuseppe Vittorio e pochi altri, non ci fu affatto aperto dissenso, non ci furono discussioni o diatribe. Alcuni se ne andarono, come Antonio Giolitti, che passò al Psi, ma la grandissima parte del partito fu granitica con Palmiro Togliatti e col Cremlino.

Moretti, purtroppo, in questa sua auto-analisi accenna sì a uno sforzo, ma complessivamente racconta una lacerazione che nel Pci, semplicemente, non è mai esistita. E non cita neanche per sbaglio il Partito socialista, che invece su quello ruppe del tutto con i comunisti. Insomma Nanni non fa un’operazione verità, fa un tentativo molto timido, molto autoassolutorio e consolatorio. Gli manca il passo decisivo, il trarre conclusioni sulla fallimentare storia del Pci. A un certo punto fa strappare un ritratto di Stalin da una parete di una sezione. Gli sarebbe piaciuto che non ci fosse, ma non solo c’era. Stalinismo e leninismo erano il cuore di quel partito. Non erano dettagli od orpelli, erano il “core business” ideologico del Pci, senza i quali il Pci sarebbe stati altro, un partito socialista europeo. E non è un caso che nel 1989 il Pci abbia strappato frettolosamente da Mosca cercando di prendere nell’Internazionale socialista – guarda caso – il posto del Psi, nel frattempo messo nel mirino dai giustizialisti.

Moretti accenna a una critica insomma, e poi suggerisce un rifiuto nel privato, come nella migliore tradizione della sinistra ex rivoluzionaria. Ma sa sicuramente che, come si diceva, la verità è rivoluzionaria. E il suo film è un po’ insincero, poco rivoluzionario. E comunque bruttino. Ci dispiace.

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