Una gaffe, un’impostazione discutibile, dichiarazioni zoppicanti sul grande tema della libertà e della democrazia.

Non è stata una partenza brillante quella di Primo Minelli, neo-presidente dell’Anpi Milano. Anzi la prima uscita, un’intervista rilasciata alla Repubblica, ha dato una sensazione di faziosità e inadeguatezza.

E sarà tutt’altro che facile il compito che attende Minelli, dopo le dimissioni di Roberto Cenati, uscito di scena fra grandi e trasversali attestazioni di stima due settimane fa, per un irrimediabile dissidio con l’Anpi nazionale presieduta dal cossuttiano Gianfranco Pagliarulo, che ha impegnato l’Associazione in una mobilitazione contro “il genocidio palestinese”, una piattaforma che l’ormai ex presidente milanese ha rigettato, considerandola impropria, e scivolosa sul terreno dell’antisemitismo.

La “svolta” dell’Anpi milanese, per ora, ha il sapore di un triste arretramento.  E forse non poteva essere altrimenti, viste le premesse.

Al timone della sezione provinciale più importante e prestigiosa d’Italia, infatti, Cenati per 13 anni aveva concepito il suo mandato, come da statuto, come impegno civile sul terreno della memoria antifascista e resistenziale, e non a caso, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile (il momento più alto e delicato dell’attività Anpi) ha costruito e difeso con tenacia, e senza clamori, un approccio unitario ed equilibrato, alla larga da estremismi e settarismi purtroppo ora molto in voga. Non a caso, negli ultimi anni, mentre a Roma nel giorno della Liberazione si sono verificate lacerazioni clamorose, a Milano con il grande corteo di Anpi e sindaci ha sempre sfilato anche la Comunità ebraica, dietro le insegne della Brigata ebraica, quei gloriosi partigiani sionisti che – con l’esercito britannico – furono protagonisti dello sfondamento in Romagna della “linea gotica”, vittoria militare che fu il preludio di quella Liberazione dell’Italia, e dell’Europa, che avrebbe portato da lì a pochi anni anche alla nascita dello Stato di Israele, il Paese ebraico in cui quei soldati sono poi stati classi dirigente e spina dorsale.

Dopo alcune contestazioni facinorose, peraltro, la Brigata ebraica (invenzione di Davide Romano, che oggi dirige il piccolo museo di corso Lodi, a Milano, dedicato a quell’epopea sionista e resistenziale) negli ultimi anni ha partecipato al corteo del 25 aprile di Milano quasi trionfalmente, tanto che si è parlato di una “scommessa” vinta, e vinta anche grazie alla fermezza di Cenati.

Ora però, con la guerra in Medio oriente, scatenata dalle atrocità (dimenticate) del 7 ottobre, c’è da scommettere che questa testimonianza sarà rimessa in discussione dai soliti centri sociali, autonomi ed estremisti.  Su questo, sui contestatori, Minelli ha voluto rassicurare: “Quelli sono 20 – ha detto – il nostro ultimo pensiero. La Brigata ebraica ci sarà come tutti i protagonisti della lotta resistenziale e della deportazione“. Subito dopo, però, è incappato in quella che qualcuno, nella Comunità e non solo, ha considerato una gaffe: “Per questo – ha detto – faremo incontri con le due comunità: vogliamo avere in corteo sia i palestinesi, sia gli ebrei”.

Vorrei spiegare al nuovo presidente dell’Anpi che la comunità ebraica italiana è Italiana da oltre duemila anni – ha scritto un’esponente della Comunità – Questo voler tirarci in ballo insieme alla ‘comunità palestinese’ dimostra che non ha capito nulla di come stanno le cose“. In effetti, la Comunità ebraica – comunità religiosa di cittadini italiani, non c’entra molto con “i palestinesi”, almeno con quelli (soprattutto giovani) che si sono visti nelle piazze per 23 sabati consecutivi dopo il 7 ottobre, impegnati a sfilare con slogan insultanti diretti a Israele, in cortei a volte apertamente antisemiti.

E poi i “palestinesi” non c’entrano molto con la Liberazione, come ha fatto notare anche l’intervistatrice di Repubblica (è noto a molti che il gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini, una delle più alte autorità dell’Islam sunnita, fu alleato e amico di Hitler e lo incoraggiò, per quanto era in suo potere, a perseguire sino in fondo il programma di sterminio del popolo ebraico, che sarebbe stato estero anche all'”Yishuv” (l’insediamento ebraico in Medioriente, embrione del nascente Israele), non fosse stato per l’esito della battaglia di El Alamein.

E rispondendo alla domanda su cosa c’entrino, Minelli ha dato anche un saggio di quella che sarà la sua linea. «Non possiamo ignorare che “liberazione” è guerra alla guerra, è inevitabile che si tratti della guerra in corso. Anpi lavora perché questa parola esca fuori dal vocabolario” ha detto all’intervistatrice, confermando l’idea di un’Anpi che assume come “missione” il pacifismo, e commemora la Liberazione come movimento per la pace, quando invece fu guerra, per quanto inevitabile e indesiderata, contro il totalitarismo e per la democrazia.

Considerata questa impostazione sul grande tema della libertà e della pace, e letta la gaffe che peraltro pare rimandare alla linea delle altre Anpi, che hanno scelto – se va bene – una sorta di equidistanza fra i nemici e gli amici di Israele, la sensazione è che l’Anpi di Milano sia stata in questo passaggio “normalizzata“, e che si avvii a diventare tristemente la sezione milanese del partitino post-cossuttiano messo in piedi da Pagliarulo, un cespuglio settario e pacifista (cioè anti-occidentale). Speriamo che non sia così.