Erano anni che non sentivo questa canzone. Sono in viaggio, autostrada del sole, accendo la radio e sento la voce di Eros Ramazzotti che canta Terra Promessa. Ricordo vagamente quel Sanremo. Ho controllato più tardi. E’ del 1984. Ramazzotti partecipa e vince nella categoria “giovani”. Quello che mi colpisce a risentirla dopo tanto tempo è il testo. Ramazzotti ha qualche anno più di me, ma più o meno abbiamo guardato in quella stagione al futuro allo stesso modo. Certo a lui è andata meglio, ma non è questo che conta. E’ che lui a 21 anni poteva cantare quelle parole e io a 17 considerarle piuttosto scontate. Le parole erano queste: “Siamo ragazzi di oggi, zingari di professione , con i giorni davanti , e in mente un’illusione , noi siamo fatti così , guardiamo sempre al futuro , e così immaginiamo, un mondo meno duro . Finché qualcosa cambierà, finché nessuno ci darà, una terra promessa, un mondo diverso, dove crescere i nostri pensieri”.

Mi sa che alla terra promessa non ci siamo mai arrivati. Anzi, a differenza di Giosué che ha completato l’ultimo miglio, realizzando il sogno di Mosé, noi ci siamo resi conto che quelli che dovevano essere dei Mosé si sono mangiati tutte le risorse per andare avanti. Quello che mi colpisce è però l’ottimismo dei nostri vent’anni. Noi gusrdavamo al futuro, pensavamo che sarebbe stato migliore di quello dei nostri padri, non avevamo paura di evocarlo e se guardavamo verso l’orizzonte non restavamo angosciati da quella linea di nebbia senza profondità e prospettiva.
Ramazzotti canta: “guardiamo sempre al futuro”. E’ esattamente l’opposto di quello che si vive adesso.

Sono andato a cercare una canzone degli Aram Quartet, il gruppo che ha vinto la prima edizione di X Factor.  Mi sembrava che anche loro avessero scritto qualcosa sul futuro. Non sbagliavo. “Avevamo sognato una terra abitata da uomini che sapessero credere/Che un giorno sarà diverso/Perchè il futuro si è perso. Avevamo sognato di essere liberi/Dalle vuote promesse che fa la politica/Credevamo che almeno l’amore potesse difenderci”.

Sono solo canzonette e per questo rappresentano uno degli indici migliori per misurare il sentimento del tempo. E’ banale dirlo. Ma se c’è una cosa che davvero non si può perdonare alle élites politiche, economiche e culturali dell’Occidente è di aver stretto la prospettiva. Il Duemila per tutto il Novecento è stato l’appuntamento con il futuro. Il Duemila è stato scritto, immaginato, anticipato, sognato, raccontato, spiegato, idealizzato. Bene. Sono dodici anni che siamo nel Duemila e ancora non abbiamo visto il futuro.

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