01Giu 25
Il barbone e il presidente (in memoria di Ernesto Pellegrini)
Ernesto Pellegrini e in quel 1989 è da cinque anni il presidente dell`Inter, quella a trazione tedesca, quella dei record, 58 punti sui 68 disponibili, con la A a 18 squadre e le vittorie che valevano due. Quando quel giorno Galeazzi lo incrocia davanti allo spogliatoio lui,
Ernesto, sembra un tifoso che si è imbucato. Un buon presidente spende e investe, ma vince se sa creare una comunità e come prima cosa ringrazia i due magazzinieri per arrivare su fino a Trapattoni e alla presidenza. Sembra scontato, sembra retorica, ma è esattamente tutto quello che non c`è più.
Ernesto
Pellegrini solo adesso si è concesso il lusso di una biografia, a 75 anni, con un`azienda sulle spalle che ha più di mezzo secolo di fatica. Una vita, un`impresa (Mondadori), dove racconta lo spirito lombardo, non come razza padana, non come frontiera, ma come sentimento e visione del mondo. È una storia che sa di bicicletta e di epopea da dopoguerra, con un ragazzo che trova lavoro come ragioniere alla Bianchi e pensa che nella vita l`impossibile esiste e bisogna avere il coraggio di afferrarlo, come mettersi in gioco scommettendo il futuro su una catena di ristoranti aziendali. «La mia prima passione fu il ciclismo. Alla Bianchi strinsi la mano al mio idolo Fausto Coppi e poi diventai amico del suo capo meccanico Pinella De Grandi, detto Pinza d`oro». C`è una foto che racconta quella generazione cresciuta tra le macerie.
Ernesto è in campagna, davanti a una cascina, su una bicicletta che in quel momento incarna la modernità. «Sono io ragazzo. Non ho mai smesso di pedalare».
Pellegrini entra nella dirigenza nerazzurra con una lettera a Ivanoe Fraizzoli. Non sogna ancora di fare il presidente, si offre come un giovane imprenditore che vuole dare una mano. Prisco lo prende in simpatia e quando il vecchio Ivanoe è stanco è proprio l`avvocato che fa da mediatore. È il 1984 e durerà per oltre dieci anni.
Pellegrini azzarda ma sa tenere i piedi per terra. Quando muove i primi passi come imprenditore non rinuncia al lavoro da 150mila lire al mese della Bianchi. Si lascia una porta aperta e fatica il doppio. È lo stesso carattere della sua Inter tedesca, quella che scommette su Rummenigge, che nonostante sia al tramonto fa innamorare gli interisti. «Quando ho accettato di fare il presidente del Bayern come modello ho scelto Pellegrini». Quella che cade e si rialza, senza perdere la dignità. Quella che nel 1994 strappa a Berlusconi il più inaspettato degli auguri. «Era un momento molto difficile e lui mi scrisse un messaggio di incoraggiamento che si concludeva con un clamoroso Forza Inter». Quella di Pellegini è una Milano senza cinismo, aperta, accogliente. È come il suo ristorante a un euro, Ruben, in via Gonin, dove il pranzo è dignità. «L`ho chiamato Ruben come un uomo dolcissimo a cui ero molto affezionato. Era un contadino. La cascina Bonfadini venne inghiottita dal cemento. Con l`esproprio a noi ci diedero una casa popolare. Ruben finì a vivere in una stalla, con tre chiodi come attaccapanni, ammazzandosi di fatica lavorando come giornaliero nei campi dall`alba al tramonto. Ruben aveva due amici, il bottiglione di vino e i libri. Leggeva libri di storia e a noi ragazzi ci interrogava, quando non sapevamo rispondere ci rimbrottava con un te se ‘gnurant. Avrei voluto aiutarlo ma ero orfano di padre e le 55mila lire che allora mi dava la Bianchi mi servivano per aiutare mia madre Maria. Poi una mattina d`inverno compro il giornale e leggo: barbone morto assiderato. Era il mio Ruben».