Il giornale della domenica
Non chiedetemi quando finirà. Il guaio è che non posso neppure stare lì a far finta che il problema non esista. E’ una di quelle questioni che ti ribaltano la vita. Qualche volta capita di vedere un gruppetto di colleghi davanti alla macchinetta del caffè parlare sottovoce con un’aroma di angoscia dell’apocalisse dei giornali. Quanti anni mancano alla resa totale della carta stampata? Cinque, dodici, ventitré? I più ottimisti dicono che un giornale è un giornale e non sarà certo un tablet a cancellarne l’odore. Altri pensano che non è la carta che fa il giornalista e il mestiere si evolve un po’ come fanno i pokemon. Tutti sanno che però il giornalismo delle buste paghe pesanti, del sempre meglio che lavorare, delle ricevute dei taxi buone per tutte le stagioni, dei diritti acquisiti e dei leggendari inviati, dei corrispondenti nei posti più remoti del mondo e della fissa da maturare è finito a metà degli anni Novanta. Poco male. Quello che davvero ti sfinisce è il conto dei morti.
Il New York Times ha pubblicato uno di quei approfondimenti su come se la passano i quotidiani. Sembra che nei giorni feriali abbiano perso il 4 per cento delle copie, la domenica la flessione è molto meno marcata, meno 1 per cento. Il giornale della domenica è un altro mercato. Cambia il pubblico. Conosco persone che comprano il quotidiano la domenica perché ci sono i supplementi culturali, altri perché non lavorano e hanno più tempo per leggere con calma anche reportage, narrazioni, racconti di viaggio, analisi approfondite, commenti più posati e storie. Quelle che piacciono di più sono le storie. Come se il giornalismo fosse quello di una volta, quando c’era il tempo per narrare o per scoprire personaggi. La domenica il giornalismo si mette il vestito del romanzo.
Molti in America sono convinti che il giornale della domenica sarà l’evoluzione della specie, cioè “l’organismo” in grado di sopravvivere nell’era di twitter e dell’Ipad. Tutti i giorni si mangia l’informazione spot, quella del frammento e della sferzata veloce, la notizia breve, e la polemica su fatti di giudiziaria o di gossip. Tutta roba che può campare alla grande sul web. La domenica no, la domenica c’è bisogno della carta, di un altro tempo e di un ritmo antico.
Il giornale della domenica, stramba metamorfosi di quotidiani e settimanali morenti, ha quella dose di fascino di chi va incontro al futuro vestito di passato. Magari è proprio questa la soluzione della crisi. Andare a cercare i lettori navigando verso Ovest, come l’uovo di Colombo. I giornali hanno cercato il pubblico in basso, puntando sugli istinti delle masse o corteggiando la casalinga di Voghera (che notoriamente non legge i giornali). E’ una via d’uscita romantica, purtroppo ha una complicazione antipatica: che lavoro faranno i giornalisti nei giorni feriali? Potremmo chiedere l’otto per mille come i preti.