Alex Liddi, il diamante italiano
«Semplicemente la palla, uscendo dalla sua mazza, fa un rumore diverso». E’ una sera di settembre di sei mesi fa. Otto settembre. I Seattle Mariners stanno giocando a Cleveland per un recupero contro gli Indians. Il ragazzo con il numero 16 è in lineup per la seconda volta. Il giorno prima ha giocato contro i Texas Rangers. E’ il secondo inning e tocca a lui andare in battuta. David Huff, il lanciatore di Cleveland, prova tre veloci di fila. Il quarto lancio è una curva. Colpisce. In Italia sono le quattro e quarantadue. La maggior parte della gente dorme. La palla si alza proprio come accade nei film. Non so se avete presente “Il migliore” con Robert Redford che prende tra le mani la mazza di legno fatta con le sue mani, quella che lui ha soprannominato Wonderboy, e poi i fari che si spaccano e la corsa con il cappellino che saluta fino a casa base. Ecco, toglieteci l’enfasi e le luci spaccate, ma succede proprio così, la palla vola, saluta il diamante e va oltre. Fuoricampo.
D’accordo. Non è certo una novità nel baseball. Questo qui però, quello fatto in quella notte di settembre e di cui qui stiamo parlando è comunque un po’ speciale. E’ il primo fuoricampo italiano della Major League. Visto che è l’otto settembre magari c’è anche qualcosa di simbolico in tutto questo. Il ragazzo si chiama Alex Liddi ed è di Sanremo. Ha 23 anni e quella storia del rumore diverso è il commento di un blogger di Seattle quando gli hanno chiesto cosa pensasse di questo italiano che gioca in terza base, ma pronto a sacrificarsi in prima, che da quest’anno è stato inserito nella rosa ufficiale dei Mariners.
E’ vero. Simon and Garfunkel cantavano: «Dove sei andato Joe Di Maggio? Una nazione volge i suoi occhi desolati verso di te. Che cos’è che dici Mrs Robinson? Joltin’ Joe ha lasciato ed è andato via». Solo che Di Maggio aveva il cognome italiano, il padre e i nonni italiani, e anche se ci piace dire che ha sposato e amato come nessun altro Marilyn Monroe, per gli americani è americano. Quanto di più americano ci sia, come Sinatra, Fiorello La Guardia, Al Pacino, Robert De Niro, Cristoforo Colombo, la pizza e sotto sotto perfino Al Capone. Invece Alex Liddi, al di là che si chiama Alex, è proprio tutto italiano e per ora gli americani non hanno alcun interesse a spacciarlo per cosa loro. Allora non c’è dubbio che quello dell’otto settembre 2011 sia il primo fuoricampo della storia italiana.
Il ragazzo con la maglia numero 16 adesso sta in Giappone dove, il marketing funziona così, si apre la nuova stagione della Mlb. A Tokyo per la precisione e qui oggi e domani si giocano le prime due partite del campionato. I Mariners contro gli A’s Oakland, tutte e due le volte perché funziona così. Le due squadre non sono state scelte a caso, perché a Seattle gioca Ideki Matsui e con gli altri Ichiro Suzuki, che in Giappone sono venerati come mezzi dei. Alex è di contorno, ma c’è. Forse giocherà in terza base, forse in prima. Ma questo per noi italiani non ha più di tanta importanza. Quello che conta è che a settembre stava sul diamante perché a fine stagione le squadre danno un po’ di spazio anche ai ragazzi che militano in Triplo A, una sorta di serie B controllata però dalle major, e questa volta invece non sta lì da abusivo.
Anche nel baseball la regola è quella delle franchigie. Nessuna promozione o retrocessione, le società gestiscono direttamente le squadre satellite. E possono prelevare o spedire giocatori durante tutto il corso del torneo. Per intenderci, alla Mlb arrivano solitamente i giocatori del Triplo A, che a sua volta attinge risorse dal Doppio A e via di questo passo fino alla base della piramide, la squadra dei Rookie, giovani ragazzini di talento che sognano di diventare grandi. Liddi è partito da qui. I Mariners lo hanno messo sotto contratto quando aveva appena 17 anni e giocava a Sanremo. Si è fatto tutta la trafila, superando selezioni durissime, di solito i migliori italiani che hanno tentato l’impresa e l’avventura si sono fermati in Doppio A. Un anno fa lui ha fatto il salto in più, quello del Terzo A, con i Tacoma Reiniers.
Perché proprio lui ce l’ha fatta? «Non sono più forte di altri. Anzi, quando giocavo in Italia ce n’erano di più bravi. Ma ho imparato che, tecnica a parte, è la convinzione che conta per raggiungere certi risultati». La sua risposta dice molto. Liddi ha un talento naturale, ma non è tutto. La sua forza è che ci crede. Ci crede a tal punto da far dimenticare alcuni suoi difetti e qualche dubbio dei tifosi. È bravo come battitore, ma non si sa la sua altezza è degna della Major League. Mostra ancora passaggi a vuoto. Come terza base gli rimproverano di non essere abbastanza veloce. Quello che però ha in più è la flessibilità, la capacità di adattarsi e di adeguarsi in fretta al livello del campionato in cui gioca. A Tacoma 2011 ha segnato due record impressionanti. Ha battuto a casa più di 100 punti (104), performance che in tutta la storia dei Rainiers era riuscita a un solo altro giocatore (nel 1973 a Craig Kusick, che poi sarebbe passato in Mlb). E ha anche segnato più di 100 punti, per la precisione 121: nessuno ne aveva mai fatti così tanti per i Rainiers. Poi è vero che la sua media non è altissima (259, ovvero 145 battute valide su 559 turni accumulati nelle 138 partite giocate). E soprattutto troppo spesso finisce strike out, cioè eliminato dal lanciatore (170 volte).
Se qualcuno dice cosa cavolo ce ne frega del baseball magari può anche avere ragione, ma la storia di Alex Liddi ci porta dentro l’America più America. E’ qualcosa di più di quello che hanno fatto Bargnani, Gallinari o Belinelli. Perché la Major League è il luogo dove l’America si racconta e si specchia. In questo il baseball vale più del basket. Come scrive Mario Salvini sulla Gazzetta dello Sport: «E’ la letteratura, è Hemingway, Whitman, Steinbeck, Roth, De Lillo. E’ il cinema. E’ il sogno americano». Batti e corri. E difendi la tua casa.