Il fool che cambia la trama delle elezioni
L’improvviso. Quando tutto sembrava scorrere lentamente verso un finale già scritto sul palcoscenico della politica accade qualcosa che non ti aspetti. Il coro dei sondaggisti porta sussurri e notizie: i numeri stanno cambiando. Dicono che la nave di Bersani non sta arrivando più così tranquillamente in porto, perde vento e forza, sta ancora lì in testa al 38,7 per cento, ma si lascia indietro un 2,9% di consensi. Potrebbe non farcela a governare, perché il Senato è sempre più a rischio, sempre più in bilico. E più passa il tempo più lui perde. Dicono che il professor Monti stia facendo davvero i conti con la realtà e quell’undici per cento lo condanna a non essere né il signore di una destra confortevole né una riserva per la nazione. Dicono soprattutto che lui, l’altro, quello che bisognava cancellare, sorride. Il vento sta soffiando dalla sua parte. Quasi tre punti in più in percentuale e a quattro passi da Bersani. Gli spettatori a questo punto si stanno rendendo conto che ancora tutto può succedere.
C’è spesso nel teatro un personaggio che scardina tutte le trame, mischia le carte, ribalta i giochi, cambia la storia. Qualche volta è il «fool» tanto caro a Shakespeare, quel folle che con le sue mattane porta in scena una saggezza antica, popolaresca. Il «fool» con il «quid». È Bertoldo o Arlecchino. È l’uomo di infinite facezie. È il mago Atlante dell’Orlando Furioso, che nel suo castello dove si incrociano i destini imprigiona o seduce i cavalieri, tanto che ognuno di loro entra inseguendo le proprie passioni e finisce per sfuggire dalle ossessioni di una vita. Tutti questi personaggi spezzano la trama, segnano l’inatteso, l’epifania. Insomma, quello che non ti aspetti. E sono la maledizione e il colpo di reni di ogni autore. Quando entrano loro in scena la storia deraglia, e spiazza: protagonisti, comparse e pubblico. E sembra quasi scappare dalle mani del narratore.
Il sospetto è che nello spettacolo di queste elezioni a giocare di nuovo il ruolo del fool sia ancora Silvio Berlusconi. Non è la prima volta. È successo nel 1994 quando ha lasciato a bocca aperta quanti assistevano alla frantumazione pubblica della gioiosa macchina da guerra. È successo nel 2006 quando con una rimonta improbabile ha costretto alla quasi patta la coalizione di Prodi. Questa volta perfino la rimonta veniva considerata impossibile. Il fool era stato messo fuori scena, e tutti ci siamo affannati a fare in modo che non fosse neppure scritturato, tanto per evitare sorprese. Si è cercato di coprire quel buco di sceneggiatura con altre figure, più giovani, più rassicuranti, meno ingombranti. Questa volta, si diceva, niente rischi. Lo spettacolo sarà magari un po’ più noioso, ma è stato raccomandato da tutte le accademie del mondo. L’Italia ha bisogno di qualcosa di sobrio, istituzionale, facile da tradurre, con tutti i sacri crismi dei corsi di scrittura creativa. Non c’è spazio per l’improvviso.
La trama era semplice. Bersani vince perché è uno con cui giocheresti a briscola senza sorprese. Con lui c’è l’ultima maschera che ti narra la solita filastrocca del Novecento. Al governo magari ci sarà qualcosa da aggiustare, ma questa volta tutti giurano che né un Vendola né un Renzi faranno saltare il banco. È quello che gli eredi di Occhetto aspettano da vent’anni, una riparazione a quella porta scorrevole che nel ’94 ha cambiato il giusto corso degli eventi. È da allora che si considerano gli unici legittimati a guidare l’Italia. Monti si accontenta di spazzare via la destra berlusconiana e con sobrietà trattare con i vincitori un’equa distribuzione del potere futuro. La parola d’ordine sarà «normalizzare». Casini e Fini riproporranno la loro vecchia politica, coltivandosi una nicchia di rendite di posizione, con la soddisfazione morale di brindare alla sconfitta dell’ex alleato ora arcinemico. Dovevano essere loro a portare sulla scena il gusto della vendetta. In tutto questo la parte del folle l’avrebbero lasciata a Grillo. Il populista con guru a seguito. Così facile da demonizzare, così tranquillo da demonizzare.
E adesso? Cambia tutto. Saltano le certezze, paura e preoccupazione mettono nuovo sale nel piatto della politica. Bisogna fermarlo. Bisogna fermare il «fool». Il coro dei sondaggisti si fa più forte: i numeri stanno cambiando. E sulla scena si alza una preghiera: ci sarà pure un giudice da qualche parte?