Le città invisibili di Calvino? Sono i videogame
«I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi». I videogame lui li ha narrati prima, prima di Space Invaders, prima che questo mondo andasse in fuga dalla materia, cercando purtroppo una leggerezza senza profondità. Eppure da qualche parte lo spirito di Cavalcanti deve essersi nascosto. Non tutto il virtuale è vuoto. Italo Calvino lo sapeva. La fabbrica dei giochi sta producendo mondi e insegue le corbellerie di messer Ariosto, notti d’inverno e viaggiatori, ippogrifi e sortite sulla luna per ritrovare il senno, tempeste e calibani, trame simili ai sogni, biblioteche universali, labirinti da sfidare e città invisibili. Sembra quasi che sia qui l’eredità di Calvino. Non è poi così strano. Le Cosmicomiche o Il castello dei destini incrociati sono un labirinto da sfidare, una trama da sciogliere. Sono enigmi da superare per arrivare a un livello superiore di conoscenza. C’è alla base l’eterno mito di Teseo che deve uccidere Minosse, il mostro, e cerca prima di tutto se stesso nei corridoi disegnati da Dedalo. Non è un caso che il Minotauro appaia in Dante’s Inferno. È nell’architettura virtuale che le lezioni di Calvino si sublimano. I labirinti sono ormai città. È la Firenze medicea di Assassin’s creed. È la città galleggiante di Columbia in BioShock Infinite. Osservate. I videogame assomigliano sempre più alle città invisibili. È la fuga verso il bello. È quel futuro non realizzato. È la rivolta ideale contro un mondo di rami secchi. «Questo impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo».