Chi sono i berlusconiani?
Cosa hai fatto negli ultimi vent’anni? Sono andato a letto presto. La frase proustiana di Noodles in C’era una volta in America sta bene sul profilo di Giovanni Orsina. È un vestito. Poi c’è quello che ha fatto davvero: cercare di capire cosa è successo. La risposta è in un libro. Il berlusconismo nella storia d’Italia (Marsilio).
Non Berlusconi, ma il berlusconismo. Perché è questo il nodo. Orsina è uno storico di quasi quarantacinque anni, professore alla Luiss, liberale per scelta di vita e non per fede. Questi vent’anni non hanno una storia condivisa. Non possono averla. Berlusconi divide. È un eterno processo. È zero o uno. È l’incarnazione di tutto ciò su cui l’Italia si divide, forse da sempre. È quello su cui ci incartiamo, convinti come diceva Flaiano che in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco. «Viviamo in una rete di arabeschi». La scommessa di Orsina è cercare di sciogliere questo groviglio. E c’è un punto, su tutti, da cui forse è il caso di partire. Non Berlusconi, ma chi lo vota.
Lo stereotipo lo conoscete. L’elettore berlusconiano è una bestia, un venduto, un malfattore, ignorante, disumano, cafone, nel migliore dei casi un incosciente o un menefreghista. È la parte peggiore della società. Non c’è mai stata tanta voglia di conoscere il suo volto (se non per sputargli in faccia) e cosa pensa. Questa immagine arriva da lontano. È l’eredità culturale e politica dell’Arcipartito. È un partito elitario che ama il popolo come idea, ma preferisce non conoscerlo come individuo. Siccome lo ama da lontano la sua missione, o ambizione, è rieducarlo.
Questo popolo di italiani senza qualità forse vale la pena di vederlo da vicino e magari capire cosa vuole, di chi non si fida e soprattutto chi è.
Nelle cinque elezioni che si sono svolte dal 1994 i partiti «berlusconiani» la maggioranza dei voti è arrivato da chi lavora in proprio. Pochi i dipendenti e funzionari pubblici. Questo però è solo un punto di partenza. In realtà il voto berlusconiano non è un voto di classe o di portafogli, ma è un voto politico. Risponde infatti a una domanda ben precisa. Chi deve pagare il debito pubblico diventato negli anni insostenibile? Lo Stato, con una pesante cura dimagrante, o l’individuo, «trasferendo al pubblico una quota maggiore di risorse». Tagli o tasse.
Ancora più importante è l’identità culturale di chi vota o ha votato Berlusconi.
Questo è il filo rosso del saggio di Orsina. È un filo lungo, che attraversa tutto il Novecento, tanto che l’uomo di Arcore può essere considerato una cerniera tra il vecchio e il nuovo secolo. Il legame, spiace deludere, non è con Mussolini e il fascismo, ma ha più a che fare con la diffidenza di molti italiani verso il potere. Tra i voti di Berlusconi c’è una forte quota di clientes, ma i dati elettorali raccontano che questi «elettori di bassa qualità» sono parecchio instabili, volatili, si spostano da una parte all’altra dello schieramento bipolare. Non sono loro lo zoccolo duro.
La figura forte è invece quella che Orsina chiama lo «scettico». È l’elettore che non si è mai sentito capito e rappresentato dall’Arcipartito e dalla vita pubblica. È quello di cui non si scrive, non si parla, non compare nei film e nei romanzi se non come maschera grottesca.
È il vero «invisibile» della politica e della cultura italiana. Berlusconi è stato il primo a parlare ad ognuno di loro, come un «popolo di individui». Spesso li ha delusi, ma almeno li ha visti.