L’Inglese non è per tutti
Mi dispiace per tutti quelli che non lo conoscono. Quelli che non hanno mai ascoltato una sua canzone. Quellic che vivono di retro musica. Quelli che non capiscono le parole. Mi dispiace per questo mestiere di zombie e per i critici musicali che ascoltano i cd tanto al chilo e sono troppo occupati per andare a cercare la musica nelle strade o in quei locali dove non batte mai il sole, senza sapere che lì il sole si va a illuminare. Mi dispiace se non conoscete Edoardo Inglese e non avete mai sentito nemmeno parlare dell’Inglese per tutti, il suo ultimo album, quasi da solista, ma visto che non sa stare da solo fatto in compagnia, con tutte le sue anime pellegrine, i suoi compagni di viaggio, le sue malinconie camuffate e, scusate, quella capacità di leggere la vita che in questi tempi replicanti si sta un po’ smarrendo.
Magari io non capisco nulla di musica e parole, ma penso che i Morti nostri valga più di cento editoriali. Penso che Vicolo cieco sia un romanzo d’amore, ristretto come un buon caffè, perché in fondo per farsi del male andando a sbattere contro il destino non servono troppi perché. E perché Bene o male, quella che doveva essere un valzer, ti porta al di là del ani-bene e dell’ani-male. Perché Noda, anche per me che sono rimasto al giro di do, è musica da ascoltare ad alta fedeltà. Ma non sto qui a raccontarvi tutto l’album. Non tocca a me. Non è il mio mestiere. A me basta viaggiare con l’Inglese, ogni volta che parto, ogni volta che torno. E questo va avanti da un mese e più. Ogni volta mi sembra più bello, più nuovo. Non è insomma un problema mio. E’ un problema per chi produce, vende, racconta, mette i voti, fa ascoltare musica. Musica e parole. Non ho ancora capito che mestiere fanno.