Le turbolenze del giorno dopo sono quelle che fanno male. Il Pdl si è sublimato, lasciando spazio a Forza Italia e al nuovo satellite alfaniano, pronto a ruotare intorno a quello spazio metafisico (e vuoto) che chiamiamo centro. I governativi si affrettano a dire che non sono affatto preoccupati, perché tutto questo rende più forte il Letta delle «ristrette» intese. Sorride Enrico, sorride il Quirinale, sorridono i sacerdoti della stabilità. Forse però c’è un sorriso di troppo. La minaccia infatti arriva dal Pd e non è inaspettata. A sinistra c’è chi come Renzi conta i giorni che mancano al voto e chi come Civati ha scoperto di non voler morire democristiano. Quelli che sperano di trovare un modo per far saltare il governo sono tanti. Prima speravano che la miccia l’accendesse Berlusconi, ora non vogliono lasciare al Cavaliere il ruolo di incursore contro l’Europa e le politiche di austerità. Non solo. Il timore è che il Pd si perda in quel triangolo delle Bermude che sta diventando il patto Letta-Alfano-Napolitano.
Qualcosa bisogna fare. La breccia già c’è. È l’affare Cancellieri, ormai punto debole delle strategie di Palazzo. Parte il tam tam delle procure: forse verrà indagata per falsa testimonianza. Ha raccontato balle ai giudici sulle telefonate ai Ligresti. E qui si muove Civati, candidato «minore» alle primarie, ma abile nel forzare la mano al partito. Dice: basta ipocrisie, se non vogliamo votare la mozione di sfiducia dei Cinque Stelle, allora ne presento una a nome del Pd. Con questa mossa scavalca Renzi, passando dalle parole ai fatti, e lo costringe ad inseguire. Matteo a questo punto non può che accodarsi. E tutto il Pd a questo punto deve scegliere se far fuori la Cancellieri, destabilizzando Letta, o rischiare l’ennesima brutta figura con i suoi elettori.
Letta e Napolitano hanno già pronto l’antidoto. Sacrificare in fretta la Cancellieri e sostituirla con un ministro della Giustizia prêt-à-porter. L’importante è chiudere in fretta la falla e non aprire (…)

(…) una discussione sul futuro del governo. Se si comincia a chiacchierare infatti a qualcuno verrà sul serio la voglia di schiacciare il bottone di fine partita, sfidando il Quirinale che ormai ha deciso di andare a votare alle calende greche. L’attacco quindi non potrà essere davvero fatale.
Qui, in questa storia, ci sono però tutte le debolezze, i vizi e le contraddizioni della sinistra. Il Pd non ama questo governo, ci sta controvoglia, però ha troppa paura per liquidarlo. Come al solito si affida a casi giudiziari per manifestare il malcontento. Ed è un modo ambiguo e anche un po’ vigliacco per risolvere le questione. È questo appellarsi a crisi extrapolitiche, per mascherare il disagio politico, il vero male oscuro di questa sinistra. Non attaccano il governo perché continua a prendere ordini dall’Europa, perché non si sa ribellare agli schiaffi teutonici, perché questa crisi non passa e Letta non ha alcuna idea di come farla passare. Non si scandalizza per un altro Natale da anni di guerra. Non si indigna per le tasse e neppure per le imprese che chiudono, per i posti di lavoro persi, per generazioni senza futuro o per questo cimitero di speranze che è l’Italia delle larghe intese. Non ripudia Napolitano per la sua ossessione di voler imbalsamare il presente, come se l’intero Paese fosse vittima di un incantesimo che ha gelato ogni cosa. Non sfiducia Letta per quello che ha fatto o non ha fatto. Non si ribella a questa era glaciale della politica. No, perché ha troppa paura del voto per farlo. L’unica cosa che sa inventarsi è puntare l’indice. La sola azione politica diventa così questa litania moraleggiante. E tutto si risolve con la testa della Cancellieri, un bel rimpastino, e poi si tira ancora a campare. Tutti al caldo della poltrona. Ma adesso il Pd non ha più alibi. Se sta al governo se ne assuma la responsabilità politica. Starci con il mal di pancia è un artificio retorico che non convince nessuno. Sfiduciare la Cancellieri magari è un atto dovuto, ma non serve a nulla. La verità è che il governo delle «strette intese» è soprattutto a firma Pd. Se invece non lo è basta dirlo, con la sfiducia a Letta, non alla Cancellieri.

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