A sfidare il cielo: storia della mia generazione
Sarà che adesso non hai più voglia di immaginare o di scommettere e sai che non ha senso bestemmiare. Sarà che i Mister Magoo, orbi sempre in orbita, non ti ispirano più leggerezza e non sai più ridere, e vedi solo quanto stronzi sono. Sarà che vuoi che qualcuno ti racconti una storia senza troppe illusioni, con quella voce contromano scorticata come le corde di un vecchio pianoforte che ti arriva dritta all’anima. Sarà per tutto questo che in un lunedì di poca luce ti metti a leggere, ascoltando, A sfidare il cielo finché ci sarà un Dio. E ti riconosci, come nel romanzo di una generazione di interdetti, quelli senza firma, quelli con la X, a cui Dio ha donato il talento, ma non ha mai perdonato la mancanza di cinismo. Il loro torto è di aver creduto in un futuro migliore, senza sporcarsi le mani di sangue e vendetta. Sono come Ulisse che torna a Itaca e pensa di rimettere tutto a posto senza ammazzare i proci, anzi li perdona, e concede una seconda possibilità e finisce per allevare un Telemaco spietato che disprezza l’umanità del padre.
Ti piace il coraggio di Round Midnight. Un editore che prende un concept album e te lo fa ascoltare come si faceva una volta. E mentre ascolti sfogli il libro, segui le parole, ti perdi nei disegni e ti ricavi un’ora di tempo tutto per te solo per sentire un cantastorie. Quest’uomo si chiama Edoardo Inglese. E la sua storia, che poi è anche la storia tua, la fa partire più o meno così. Diffida sempre di chi non ama la vita/diffida sempre di chi ama il denaro/diffida sempre di chi ama Dio e non l’umano/diffida sempre di chi non ama.
Poi lui questo punto di partenza lo spiega così: “Per la mia generazione la caduta del muro di Berlino nel 1989 è la nostra rivoluzione francese e l’11 settembre 2001 il nostro congresso di Vienna. Il disco comincia con la cronaca emotiva di quel settembre e prova a descrivere come si è finiti a non avere più futuro. Un risveglio amaro, niente è più come lo stavamo sognando, niente di ciò che avevamo imparato serve più. Così senza maestri o riferimenti affidabili e rassicuranti, l’unica soluzione concepibile è la fuga, una qualsiasi fuga, basta che sia fuga, da cimice che non vuole più morire di naftalina”. Fuga e ricerca di un rifugio, perché quando scappi da qualche parte devi andare. “Verrà l’amore a cambiarti la vita o sarà la vita a cambiarti l’amare”. Solo che “come in un sogno l’amore non è, come in un film l’amore non è, come in un giogo l’amore non è”. Fuga allora, fuga dall’amore finto (l’amore non è poi così importante, ad amare veramente, si fa senza magie), fuga dai venditori di parole, fuga dai quarti d’ora di celebrità, meglio stare fuori, “anche se non mi piace chi sta fuori”. Fuori dalle piazze virtuali, dai contesti criminali, dai salotti letterari, da campagne elettorali. Dove allora? Morire, dormire, sognare forse. Ninna nanna, ninna nanna. “Duorm nun te scetà. Vid’ o bianc’ contr’ o nir’ p’ogn’ terra nu confin’ sient’ accidere pe’ nient’ n’omm onest’ e nu fetent'”.
Certe volte te lo chiedi dove la strada è deragliata, in quale incrocio ti sei perso e se hai sbagliato qualcosa, dove sono andate a finire tutte le promesse del tardo Novecento, come sono caduti i muri e chi li sta ricostruendo, da quale buco si è dispersa la pensione che hai pagato e non avrai mai, come è possibili che ti hanno invitato alla festa solo quando i cancelli si stavano chiudendo. Pazienza, ci vuole pazienza. Niente vittimismo, nessuna nostalgia. A chi è venuto dopo è andata anche peggio, l’unica cosa che li salva è il non avere il ricordo di una felicità perduta. Non sanno delle promesse dei padri: “Imparo/A coltivare/Schegge di cielo/Quando piovono/E legato alla roccia/Aspetto che crescano/Storie/Di quelle che/Mi hanno incantato”.
Tutto questo però adesso dovete semplicemente ascoltarlo, perché c’è orgoglio, dignità, forza, coraggio, la presunzione di andare in giro con il pennacchio bianco come il Signor di Bergerac, che in vita sua fu tutto e non fu niente. Questo racconto fatto di canzoni è la storia più carica di futuro che ti capiterà di ascoltare in questi anni. E’ una meraviglia di suoni, carezze, divagazioni, colpi controluce, artifici senza additivi, tracce profonde di realtà come da anni è stato difficile incontrare. A sfidare il cielo finché ci sarà un Dio è lo sguardo sincero su questo tempo incancrenito dai troppi imbroglioni. E’ qualcosa di vero sul vero. Sta qui. “Non da qualche parte ma sulla panchina della villa in paese. Non da qualche parte ma di notte nel bar della piazza centrale. Ho avuto un re senza scettro e la legge del bene e del giusto. Negli occhi di un uomo già amico per solo un bicchiere e una stretta di mano. Non da qualche parte, ma dovunque eri tu”. Non da qualche parte.