Il fisco è una gabbia irreale, psicopatologia degli studi di settore
Non tutti gli evasori sono davvero evasori. Se ne è accorto perfino il fisco. La colpa non è di chi sbaglia la dichiarazione dei redditi, di chi si impicca per rientrare nei parametri disegnati dallo Stato, del commerciante che paga di meno perché da anni gli italiani spendono di meno. La responsabilità è di chi pretende di ingabbiare la realtà negli studi di settore. Adesso l’Agenzia delle Entrate ci fa sapere che c`è un problema: «Sono uno strumento che ha 20 anni e ha bisogno di una manutenzione straordinaria». Sorpresa: non funzionano. Sono falsi, rigidi, presuntuosi, raccontano un mondo che non esiste o appartiene al passato. È da vent’anni che il fisco ti dice che se produci o vendi certe merci, e il tuo negozio è grande tot e si trova in via tal de` tali e hai questi dipendenti, allora devi incassare quella cifra. Se questo non succede, caschi la terra, sono cavoli tuoi. Sei sfortunato? Sei malato? Il capitalismo è in crisi e l`Occidente è in bancarotta? Non conta. Sei in malafede, sei una persona sospetta e ben che vada arriva la Finanza a ribaltarti l`azienda. La realtà è falsa, l`unica verità assoluta è il modello, la mappa, insomma lo studio di settore. Lo Stato, con una punta di sadismo, ti dice pure che questo lo fa per aiutarti, ti mostra la strada virtuosa, di fatto questa mano benevola ti mette al tappeto: chiuso per fisco. Qualcuno dirà che queste sono le solite lamentele dei furbi, di chi non paga le tasse, una sorta di leggenda metropolitana. Solo che all`Agenzia delle Entrate si sono messi una mano sulla coscienza: non è che i nostri modelli sono troppo severi o peccano di ottimismo? Prima hanno corretto gli scenari tenendo conto della crisi. Una sforbiciatina. La scoperta che in Italia i consumi sono in picchiata ha scalfito le certezze del fisco. Ci sono arrivati tardi, ma alla fine, colpiti da un fulmine, si sono illuminati. Sembra poco, ma per gli esattori è una grande conquista. Poi, siccome sono tipi quadrati e onesti, sono andati a vedere lo scartamento tra la realtà e le loro aspettative. Un contribuente su tre ha ricavi certificati «non congrui» rispetto allo studio di settore. Non bara, incassa proprio di meno. Non solo. Il 50 per cento dei contribuenti non rientra nei principali indicatori previsti dal fisco. In pratica è un`anomalia rispetto al mondo parallelo programmato dalla burocrazia. Da notare che nel linguaggio dell`Agenzia delle Entrate queste partite Iva vengono battezzate come «non coerenti», una sorta di popolo divergente, errori, pecore nere, e, per quelli sempre con l`indice puntato, senza dubbio evasori. Il guaio è che cominciano ad essere troppi. Ed è questo che inizia a far preoccupare il fisco. In soli due anni, dal 2012 al 2014, sono passati dal 47 al 57 per cento. No, non stanno facendo i furbi, non è evasione di massa, stanno affogando. Dopo anni di stagflazione, la lotta è per sopravvivere, per non andare a fondo, e gli studi di settore sono una palla al piede. Pesante e bugiarda. Lo sa anche Rossella Orlandi, direttore dell`Agenzia delle Entrate, che, con quattro mesi di anticipo, ha ridisegnato in modo netto l`architettura degli studi. La speranza è che siano meno irreali, meno marziani, ma la fretta dimostra anche che l`Italia è una via crucis di aziende sull`orlo del fallimento. In tanti non possono permettersi un altro inverno di carestia. La prima mossa è semplificare: si passa da 204 «scenari» a dieci. C`è anche l`idea di cominciare a cancellare questa mistificazione della realtà. Si dovrebbe partire con l`abolizione degli studi di settore per i professionisti. Si parla di ottocentomila persone, ma serve un`iniziativa del governo e una legge del Parlamento. È comunque la fine di un tabù: gli studi di settore non sono la verità. E magari c`è ancora un po` di vita sul pianeta fisco.