La valigia di Fabio Poggiali
“Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia”. Questa, Fabio, l’ho rubata al Piccolo principe. So che ti piace. Le parole e l’incanto di Saint-Exupéry ti fa pensare a tuo fratello, Maurizio, l’aviatore. Ogni volta che me ne parlavi ti venivano gli occhi lucidi. Ricordo quel giorno di qualche anno fa al Festival delle Storie, con il documentario sul volo e le poesie di Maurizio, caduto sul Monte Lupone. “Missione 933 rispondente…»”. Ora vi siete ritrovati da qualche parte, abbracciati, con un sorriso leggero. L’attore e l’ufficiale, il teatrante e il poeta, tutti e due andati via da questa terra troppo presto, seguendo strade diverse. E’ così. E’ morto Fabio Poggiali, attore, scrittore, registra, professore, amico. E’ uno di quelli che si è innamorato della mia valle e ogni estate mi chiedeva “che facciamo?”. Fosse stato per lui sarebbe rimasto lì, innamorato del verde e della notte, fino all’arrivo dell’inverno. Incantati. Incantato. Come a Picinisco, quando sotto la pioggia, si è messo a raccontare la vita straordinaria dell’Ultimo imperatore, il suo maestro Giorgio Albertazzi. Fabio è cresciuto al teatro Eliseo e con la “Compagnia dei giovani”, sulle orme di Giovanni De Lullo, Rossella Falk, Romolo Valli, Elsa Albani, Anna Maria Guarnieri. Ne ha raccolto l’eredità. E’ stato il Lorenzaccio di Alfred De Musset con la regia di Maurizio Scaparro. Con Rossella Falk in regia porta a San Pietroburgo, cioè a casa, Le notti bianche di Dostoevski. Fabio il teatro lo ha vissuto, raccontato, studiato e insegnato. Quello dell’attore di prosa è un mestiere duro, con la valigia, con anni di apprendistato e poche, vere, soddisfazioni. Sul palcoscenico si vive per un applauso. Ma fabio quando scendeva da lì era soprattutto uno che credeva di poter cambiare la cultura italiana mettendo le mani nella terra, dissodando il terreno e seminando qualcosa. Ha scritto e narrato le memorie dei giganti, non per cercare facili applausi, ma perché l’ombra di quei giganti stava scomparendo. Adesso che se ne è andato pure lui quelle ombre si fanno più evanescenti. Come nella “Valigia dell’attore” di Francesco De Greogori. Eccoci qua/siamo il padre e la figlia/capitati fin qua/siamo una grande famiglia/abbiam lasciato soltanto un momento/la nostra vita di là/nel camerino già vecchio/tra un lavandino ed un secchio/tra un manifesto e lo specchio/tra un manifesto e lo specchio.