La versione di Eggers
Questo articolo è stato pubblicato su Il Giornale il 18 aprile 2001. Comincia così un viaggio per raccontare gli ultimi vent’anni di narrativa. Lo so. Come mappa uso i miei vecchi articoli. Ma è meglio di niente.
Il primo impatto con Dave Eggers avviene durante una conversazione con Zadie Smith, la venticinquenne scrittrice anglo-giamaicana. Lei è in Italia a presentare il suo libro, Denti bianchi (Mondadori), una saga familiare ironica e irriverente sullo scenario di una Londra multirazziale. Si parla di lei, del suo romanzo, della sua generazione, di Margareth Thatcher, di editoria in genere e di come nel mondo dei libri ci siano troppi intermediari. Ci si sofferma sul poco coraggio degli scrittori, ormai dei metalmeccanici della penna o, meglio, di word. Poi, Zadie Smith, tira in ballo i suoi punti di riferimento ideali, gli autori che ama. E qui salta fuori Dave Eggers, un americano di 30 anni o giù di lì. Un fenomeno, dice lei. E per tutto il resto del tempo non fa altro che citarlo, nominarlo, presentarlo come esempio di una nuova stagione letteraria. Era autunno, passano un po’ di mesi. Passa anche l’inverno e il romanzo di Dave Eggers arriva in Italia. Lo pubblica la Mondadori, collana Strade Blu. Il titolo non ha nulla di modesto, ma è il suo biglietto da visita, auto-ironia senza frontiere. Eccolo: L’opera struggente di un formidabile genio (pagg. 408, lire 28.000). Negli Stati Uniti è rimasto per una decina di settimane nelle classifiche del New York Times, che commentava: Se lo passano come una droga. Michiko Kakutani, donna dallo spirito critico affilatissimo, ha definito Eggers un sorprendente talento. Non ha tutti i torti. Il romanzo si presenta come una biografia, un libro di memorie, parecchio strappalacrime, quasi un caso da I fatti vostri, o roba simile. Oltretutto è la storia, un po’ romanzata, della sua vita. Eggers rimane orfano a 22 anni, entrambi i genitori muoiono di cancro nel giro di cinque mesi. Resta con una sorella di due anni più grande, laureanda in legge a San Francisco, egoista, assente, cinica; un fratello trentenne che lavora all’Heritage Foundation, il più noto think tank di destra, qualcosa che ha a che fare con l’economia dell’Europa orientale, privatizzazioni, riconversioni. E poi c’è Toph, il fratellino di otto anni, la sua ombra e la sua coscienza. Sarà Eggers a fare da padre e da madre a Toph (o forse è il contrario). Insomma, l’impianto della storia potrebbe fare concorrenza alla Tamaro. Poi si comincia a leggere e già dall’introduzione si capisce che è tutta un’altra salsa. L’ironia e il disincanto avvolgono tutto, perfino il cinismo, che resta l’ingrediente di base. Basta vedere come affronta l’argomento cancro, che solo a scrivere la parola ci si sente male. E si diventa tutti ipocondriaci. Scrive: A mia madre hanno tolto lo stomaco circa sei mesi fa. A quel punto, a dire il vero non c’era rimasto granché da togliere, dato che circa un anno prima gliene avevano tolto (mi piacerebbe a questo punto impiegare la terminologia medica se la conoscessi) la gran parte. Poi avevano legato il (non so che) al (non so che)… Mia madre per un po’ era stata bene, aveva fatto la chemio, aveva comprato le parrucche e le erano ricresciuti i capelli, più scuri e più crespi. Ma sei mesi dopo i dolori erano tornati. Che fosse indigestione? Magari era solo indigestione. Alla gente capita di fare indigestione e in questi casi prende un digestivo… Ma quando è entrata in ospedale e l’hanno aperta – sono queste le parole che hanno usato – e l’hanno guardata, quella cosa li osservava, osservava i dottori, simile a migliaia di vermi che si contorcono sotto un sasso, brulicanti e lucidi, umidi e viscidi. Questo è il cinismo. E lo è ancora di più se si pensa che davvero Eggers sta parlando di sua madre. Così, lui, lo esorcizza. Si potrebbe confrontare Eggers con il protagonista del romanzo di Mordecai Richler. Barney, quello della Versione di Barney (Adelphi), quello de Il Foglio, per capirsi. Barney piace ai cinquanta-sessantenni. Si riconoscono in lui, in quel cinismo di chi ha già visto tutto. Si riconoscono nel passato delle sue illusioni, nell’ironia radical, nelle ingiustizie della vita e nella rabbia verso i maldicenti. Barney ha spazzato via tutto ciò che gli apparteneva e tutto ciò che non è riuscito a possedere.
La versione di Barney è ciò che resta di un mondo di cristallo andato in frantumi. La versione di Eggers è diversa. Non ci sono illusioni alle sue spalle. Non c’è proprio nulla tranne la televisione. La differenza può sembrare lieve, ma Barney è un cinico disilluso, Eggers è un cinico disincantato. La morte dei suoi genitori gli ha strappato l’unico presente che voleva vivere: la sua infanzia. E l’ Eggers scrittore, non quello personaggio, non ha difficoltà a dichiarare: A questo punto dalla vita pretendo tutto. Barney ha perso tutto, cioè le sue illusioni e il suo buon nome, Eggers vuole tutto, sapendo però che il mondo in fin dei conti è avaro e se ne lava le mani delle sue pretese. In comune, i due, hanno un ego strepitoso, parlano, parlano e parlando disegnano un mondo, con i suoi personaggi, che escono fuori poco alla volta, delineati dalle loro chiacchiere. Eggers è un prodotto della sua generazione, quella con la X, indefinibile. È gente che sembra non riconoscere più il confine tra fiction e realtà. Anzi, l’unica realtà è quella televisiva. E si comportano come se stessero sempre dalla parte che conta del video, malati di egocentrismo o forse solo personaggi, scusate la citazione banale, in cerca d’autore: di un regista, di un format. Non abbiamo – dice l’ Eggers scrittore – mai vissuto una realtà fuori dalla televisione. L’ Eggers personaggio prova anche a partecipare a The Real World, una sorta di Grande Fratello e nel colloquio con la psicologa che lo intervista (e da cui dipende il suo destino televisivo) dice: Ti assicuro che i candidati di The Real World come minimo saranno il segmento più visibile della loro generazione. Perché noi siamo cresciuti all’interno delle nostre confortevoli case, pensandoci in costante relazione all’effimero mondo fatto di politica, media e intrattenimento, avendo tutto il tempo per pensare a come avremmo potuto far parte di quel gruppo musicale o di quel programma televisivo o di quel film, e a che figura vi avremmo fatto noi. Siamo gente per cui qualunque idea di anonimato è esistenzialmente irrazionale. Ecco perché si fa e si farà un gran parlare di tutto, interi film fatti di chiacchiere sulle chiacchiere, considerazioni sulle chiacchiere riguardo al posto in cui viviamo, sui nostri desideri e doveri. Le ciance di una belle époque, insomma. Solipsismo rinforzato da fattori ambientali. È gente che lavora – ricorda però Eggers – settanta ore a settimana. Forse anche cento. Non lo so. Tutti noi lavoriamo tanto. È un modo per espiare la nostra infanzia senza privazioni. Gente vissuta con il mito di Wired, la rivista cult americana, bibbia del pensiero tecnologico. Eggers, quello vero e quello del libro, hanno fondato una rivista simile, anche se più letteraria. Si chiama Might. E fino a quando non ha chiuso ha avuto un certo successo di nicchia. Ora Eggers ha fondato McSweeney’s, dove pubblicano i migliori scrittori emergenti anglosassoni: da David Foster Wallace (autore di Infinite Jest) a Zadie Smith, naturalmente. La rivista è diventata anche casa editrice.
Eggers ha lasciato la Simon&Schuster per diventare – come sottolinea lui – scrittore-imprenditore. In più ha ambizioni da talent scout. Prima dell’estate uscirà il suo nuovo romanzo. Titolo ancora ignoto. Eggers conosce il marketing. Non concede interviste. Si nasconde e gioca un po’ a fare il Salinger. Sul suo nuovo libro si è lasciato scappare una sola frase: Ci sarà un mucchio d’acqua.