Ad una settimana dall’esito del Referendum Costituzionale inizia l’apnea da parte di entrambi gli schieramenti. Dopo risse, insulti e contrapposizioni di ogni sorta si lancia lo sprint senza concedersi il lusso di respirare. Ed in campo stanno scendendo, come ampiamente previsto, anche attori che sembrano dei marziani (o forse a mal pensare dei portatori di interessi mal celati). L’ultimo in ordine di tempo è stato il Financial Times che gufa sul probabile fallimento di ben 8 banche italiane nel caso di vittoria del No. Come se l’equazione “espressione del voto popolare” = “guai ai vincitori” pendesse da una sola parte. E ancora una volta, una minaccia <iper-razionale-affaristica> sembra configurare una reazione <iper-dipancia-popolare>. Come se nel recente passato gli interessi dell’UK e la continuità in USA fossero state le armi vincenti (che sia anche a causa di spin doctor sin troppo simili?). Dall’altra parte della barricata, il curioso paradosso che vede accomunati il Movimento (che dell’anti casta vorrebbe essere l’unico e solo rappresentante) e tante altre forze politiche che al momento hanno un peso elettorale meno rilevante se prese singolarmente, ma la cui somma rappresenta un fronte di opposizione al Governo in carica quasi unitario. Con tutto quello che ciò significa a livello di comunicazione (“ma come… sei X e voti per quello che dice Y?”). Con una polarizzazione delle posizioni tale da far smarrire la motivazione a votare in modo sensato. E’ una matassa talmente complicata, con esiti e conseguenze talmente imperscrutabili, che ognuno sembra poter essere libero di immaginare (nel dettaglio) qualsiasi scenario.

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Ed allora rimane una certezza. Tra una settimana ci sarà un cimitero di proclami e un’ ennesima resa dei conti sui media, sui mercati e sui social. Le bacheche di Facebook, Twitter e tutti gli altri SN verranno inondate di sospetti di brogli, di recriminazioni, di insulti. Che passi o meno la riforma sembrerà quasi secondario rispetto ad un clima di diffuso malessere verso l’altro, verso chi non la pensa come “noi”. Forse è proprio tempo di nuove elezioni politiche (c’è chi giura che comunque vada ad aprile si voterà), che sancisca un chiarimento di forze in campo e soprattutto una responsabilità di governo pieno. Quello, al di là delle riforme (necessarie e da condividere), è il terreno che serve all’Italia prima di qualsiasi altra cosa. Litigare sulle regole è l’arte di chi non sa o non può giocare le partite perchè teme di perderle. E allora rimanda rimanda rimanda

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