In un’epoca in cui si dà un voto a tutto, dai ristoranti agli alberghi, dalle università agli ospedali, dalle vacanze low cost ai resort extra lusso, in America un popolare motore di ricerca (Yelp) ha recensito anche le prigioni. Ne parla in un articolo il Washington Post. In rete si possono trovare commenti sulla pulizia delle celle, la qualità del cibo, problemi sulla sicurezza o maltrattamenti da parte delle guardie. Un membro di American Civil Liberties Union, associazione per i diritti civili, apprezza questa nuova realtà: “Tutto ciò che permette di aumentare la consapevolezza pubblica sulle condizioni dei detenuti nelle prigioni statunitensi è un buon segno”. Questa stranezza, che noi europei potremmo altezzosamente definire la solita americanata, ha un indubbio merito: contribuisce a rendere “trasparente un sistema che non lo è affatto”, come sottolinea l’avvocato californiano Robert Miller. E Yelp cosa dice di fronte a tanto clamore? Per ora no comment. Si limita a ricordare che gli utenti sono liberi di scrivere recensioni su qualsiasi tipo di attività che abbia una sede, purché si rispettino le regole stabilite dal sito.
Ma che senso ha una recensione carceraria? Solitamente si recensiscono locali, servizi o prodotti cui un cliente-consumatore può essere interessato. Per invogliarlo o consigliarlo a fare, o meno, una certa scelta. Un carcere si può scegliere? E c’è qualcuno che può essere interessato a entrarci e a starci per un certo numero di anni? Dunque, che senso ha? Certo, se l’idea è quella di rendere più trasparente un mondo che solitamente non lo è, ben vengano le recensioni sulle prigioni. Nel caso delle carceri gestite dai private (in America ce ne sono) la recensione potrebbe avere un senso: mostrare ai cittadini che il denaro pubblico è stato speso bene nella gestione di un servizio di pubblica utilità affidato all’esterno.

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