Obama, le canne e Guantanamo
A pochi giorni dall’atteso discorso sullo stato dell’Unione (28 gennaio), Obama torna a occuparsi delle cosiddette droghe leggere. Lo fa nel corso di una lunga chiacchierata con il settimanale New Yorker, con cui affronta diversi temi caldi. Il presidente tocca il tema droghe commentando le recenti leggi sul consumo di marijuana adottate negli stati di Colorado e Washington. La sua convinzione è che fumare cannabis non faccia più male che bere alcol anche se resta pur sempre una “cattiva idea”. Non è una vera e propria apertura alla legalizzazione, anzi, Obama si dichiara contrario all’ipotesi, sottolineando che non sarebbe la “panacea” per risolvere i problemi sociali. Nella conversazione il presidente cita la propria esperienza personale. Da ragazzo, racconta, “come è stato ampiamente documentato anch’io ho fumato un pochino ma mi accorsi presto che era un vizio e una pessima abitudine”. In effetti ne aveva parlato nel libro autobiografico Dreams from my father (I sogni di mio padre): e si parlava di sostanze da “sballo”, quindi non solo marijuana…
Quello delle droghe leggere resta un grave problema sociale oltre che politico. Obama sottolinea un aspetto che gli sta a cuore: è un dato di fatto che per il consumo e lo spaccio di marijuana i poveri, sopratutto latinos e afroamericani, sono puniti in modo sproporzionatamente duro mentre i consumatori delle classi medio alte il più delle volte non subiscono pene di rilievo. Ma se lo Stato intende fronteggiare la droga con il proibizionismo non ci possono essere consumatori di serie A (da salvare) e consumatori di serie B (da punire).
Il football? Troppo violento
“Non permetterei a mio figlio di giocare a football da professionista”. Obama torna ad esprimere la propria preoccupazione per l’alto tasso di infortuni gravi (commozioni cerebrali) tra i giocatori della National Football League. Pur riconoscendo che i giocatori “sanno quello che stanno facendo“, sottolinea che se avesse un figlio non vorrebbe che scegliesse questo sport. Già l’anno scorso in un’intervista a New Republic il presidente aveva toccato l’argomento: “Sono un grande fan del football, ma se avessi un figlio, ci penserei a lungo prima di permettergli di giocare da professionista. Credo che noi che amiamo quello sport dobbiamo accettare l’idea di cambiarlo gradualmente e ridurre la violenza”.
Guantanamo, Amnesty bacchetta Obama
Cinque anni fa Obama firmò l’ordine esecutivo per chiudere la prigione di Guantanamo. Oggi è ancora aperta. Per Amnesty International è un esempio evidente dei doppi standard adottati dagli Usa nel campo dei diritti umani. “L’ordine esecutivo firmato il 22 gennaio 2009, che disponeva la chiusura di Guantanamo entro un anno, fu una delle prime decisioni assunte dal presidente Obama dopo la sua entrata in caricà – ha ricordato Erika Guevara Rosas di Amnesty International – cinque anni dopo, quella promessa è diventata un fallimento nel campo dei diritti umani che rischia di perseguitare il ricordo del presidente Obama, come già è successo al suo predecessore”. Amnesty ricorda che a 12 anni di distanza dai primi arrivi restano a Guantanamo oltre 150 detenuti, la maggior parte dei quali senza accusa nè processo. Dei quasi 800 detenuti di Guantanamo, meno dell’1% è stato condannato dalle commissioni militari e nella maggior parte dei casi a seguito di un patteggiamento.