Ucraina, Obama a Putin: “Fermati”
In un breve discorso alla Casa Bianca il presidente Obama ha affrontato il tema della grave crisi in Ucraina: “Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati dalle manovre militari della Russia in Crimea, in Ucraina. Ogni violazione della sovranità ucraina risulta profondamente destabilizzante e rappresenterebbe una forte interferenza in questioni che devono essere decise dal popolo ucraino“. Poi ha aggiunto che sarebbe molto costoso, per qualunque Paese (ovviamente il riferimento era alla Russia, ndr) qualsiasi tipo di intervento militare in Ucraina. Ha quindi ribadito che gli Stati Uniti appoggiano “la sovranità territoriale dell’Ucraina”. Ha poi aggiunto che “gli eventi degli ultimi mesi ci ricordano le difficoltà che incontrano le democrazie nei Paesi in cui ci sono forti divisioni”. Obama ha fatto capire, a chiare lettere, che gli Stati Uniti non staranno a guardare nel caso in cui Mosca dovesse intervenire direttamente in Ucraina. Il messaggio è chiaro: le violazioni della sovranità dell’Ucraina “provocherebbero la condanna della comunità internazionale e gli Stati Uniti saranno al fianco dei propri alleati nell’affermare che ci saranno dei costi per qualunque tipo di intervento armato”. L’avvertimento rivolto a Mosca, dunque, è quello di non superare la soglia che, inevitabilmente, comporterebbe la condanna e, di conseguenza la reazione (anche militare) della comunità internazionale. Obama ha teso anche un ramoscello d’ulivo a Mosca: “Ho parlato con il presidente della Russia Vladimir Putin nei giorni scorsi. Gli ho detto chiaramente che Mosca può far parte degli sforzi internazionali per sostenere la stabilità e il successo di un’Ucraina unita”.
Intanto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu è in atto un braccio di ferro sulla situazione in Ucraina. Kiev ha chiesto una riunione urgente, sulla base della minaccia della propria integrità territoriale. Samantha Power (ambasciatrice Usa al Palazzo di vetro) ha detto che la Casa Bianca è molto preoccupata per i militare russi in Crimea, e ha chiesto a Mosca di ritirare le sue truppe e permettere agli ucraini di “decidere il proprio futuro senza ingerenze”. Gli Usa chiedono inoltre l’immediato invio di una “missione di mediazione internazionale“ indipendente in Ucraina, per disinnescare la crisi e rilanciare il dialogo tra le parti. Vitaly Churkin, ambasciatore russo alle Nazioni Unite, ha sottolineato che la mediazione non può essere imposta ma va discussa e analizzata. “Se però viene accettata – ha assicurato – non saremo noi a fare obiezioni”.
Aggiornamento 2/3/2014
Mentre in Ucraina la situazione sta precipitando, con 15mila soldati russi in Crimea e l’Ucraina che richiama i riservisti, preparandosi al peggio, c’è stata una telefonata dai toni molto accesi tra Obama e Putin. Per circa 90 m inuti i due hanno parlato della crisi. Il presidente russo ha detto a Obama che “Mosca si riserva il diritto di proteggere i suoi interessi e gli interessi dei russi se ci fossero violenze in Crimea e nell’Ucraina dell’est”. La Casa Bianca ha condannato “l’intervento militare russo nel territorio ucraino invitando la Russia a far calare la tensione. In che modo? “Ritirando le sue forze armate e facendole rientrare nelle basi in Crimea in modo da fermare ogni loro interferenza in qualsiasi altro luogo all’interno dell’Ucraina”. Obama ha poir ibadito che “gli Stati Uniti non parteciperanno alle prossime riunioni preparatorie per il G8. Queste violazioni continue da parte della Russia del diritto internazionale porteranno ad una maggiore isolamento politico e economico di Mosca”. Per ora, dunque, le conseguenze ventilate dall’America sono solo diplomatiche ed economiche. Non militari. Basteranno? Obama ha ricordato a Putin che se la Russia intende legittimamente difendere le popolazioni di etnia russa presenti in Ucraina deve farlo in modo pacifico, “attraverso l’impegno diretto del governo dell’Ucraina e l’invio di osservatori internazionale sotto l’egida del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o dell’Osce”. Putin per il momento non sembra voler accogliere l’invito di Washington. Vuole sedersi a un tavolo di pace partendo da una posizione di forza.