Ancora una battuta d’arresto per i candidati repubblicani sostenuti dai Tea Party, usciti sconfitti nell’ultima tappa delle primarie del Grand Old Party (Gop) in vista delle elezioni di Midterm di novembre. Nel Super Tuesday del 20 maggio si è votato in cinque Stati: Arkansas, Idaho, Kentucky, Oregon e Pennsylvanya. Ovunque i candidati sostenuti dal movimento antitasse sono stati bocciati. Nonostante la forte disaffezione per il Congresso e la politica di Washington, sembra dunque prevalere la stanchezza verso la politica troppo gridata, quella del muro contro muro portata avanti dalla parte più a destra del partito repubblicano, che negli ultimi anni ha detto no ad ogni ipotesi di compromesso coi democratici. È ancora troppo presto per recitare il de profundis per i Tea Party, ma l’onda lunga sembra essersi arrestata. La linea della destra ostile al dialogo che qualche mese fa ha causato lo shutdown (la paralisi del governo federale) per il mancato accordo, al Congresso, sull’innalzamento del tetto del debito, sembra non pagare più.

Se i vertici del Gop si aspettavano una chiara indicazione per il futuro, il messaggio degli elettori sembra arrivato: la linea da seguire è quella moderata, pur non perdendo di vista l’elettorato più agguerrito. “I repubblicani vogliono vincere, sono stufi di perdere e vogliono scegliere candidati in grado di farlo”, ha detto il consigliere politico di Mitch McConnell, leader della minoranza repubblicana al Senato. E secondo alcuni osservatori i più preoccupati, adesso, dovrebbero essere i democratici, che nei duelli con i candidati del Tea Party nelle scorse elezioni avevano avuto gioco facile sconfiggendo estremisti che spaventavano i moderati. Ora, con la battaglia che si sposta al centro, per loro cominciano i problemi.

Come dicevamo i candidati appoggiati dai funzionari del partito e dalle lobby vicine all’establishment hanno vinto ovunque: i risultati permettono ai leader del Gop di mantenere la leadership rispetto ai “ribelli”. L’equilibrio politico, però, resta invariato, perché il Gop nonostante tutto ha ancora bisogno del sostegno dei Tea Party. Basta fare un esempio per capire: lo speaker della Camera, John Boehner, che all’inizio di maggio ha battuto facilmente il candidato del Tea Party nel suo distretto dell’Ohio, ha visto vincere alcuni dei suoi alleati, tra cui il deputato Mike Simpson in Idaho, atteso da una pericolosa sfida lanciata dalla destra del partito. Ma se vorrà continuare a fare lo speaker nel prossimo biennio Boehner dovrà ricevere il sostegno dei Tea Party. Alla domanda se l’influenza dei Tea Party stia svanendo, Boehner non a caso ha gettato acqua sul fuoco, precisando che il conflitto tra i leader del partito e quelli del movimento è stato ingigantito dalla stampa: “Il Tea Party ha portato tanta energia al nostro processo politico”. E ancora: “Non c’è tutta questa differenza tra quello che voi tutti chiamate il Tea Party e il vostro repubblicano medio: siamo contro l’Obamacare, pensiamo che le tasse siano troppo alte, pensiamo che il governo sia troppo esteso”.

Il leader del Gop in Senato, Mitch McConnell, si è imposto nettamente in Kentucky. La sua vittoria non è mai stata in dubbio, a onor del vero, ma chi si aspettava che il candidato del Tea Party, Matt Bevin, potesse raggiungere il 40% delle preferenze e indebolire l’avversario, è rimasto deluso: McConnell ha ottenuto il 60,2%, contro il 35,4% del rivale. Ma ora viene il difficile: McConnell dovrà convincere i sostenitori del Tea Party ad appoggiarlo per battere la rivale democratica, Alison Lundergan Grimes.

Nonostante le rassicurazioni di Boehner a Capitol Hill si sono registrati (e si registrano) duri scontri tra le due anime repubblicane. I Tea Party molto probabilmente impediranno l’approvazione alla Camera di una legge sull’immigrazione, su cui i repubblicani stanno lavorando per trovare un accordo con i democratici, cercando così di ottenere il voto dei latinoamericani. Molto difficile, a causa dei Tea Party, anche la nuova autorizzazione per l’Export-Import Bank, l’agenzia che si occupa del credito all’esportazione, strumento in aiuto dei produttori americani (che spingono per un nuovo permesso di tre anni alla scadenza del 2015).

In Georgia si registra il risultato più soddisfacente per il Gop: il candidato favorito, David Perdue, prende il 30,6%, più di quanto previsto, e al ballottaggio non sarà sfidato da Karen Handel (22%), unica donna tra i sette candidati, appoggiata dall’ex governatrice dell’Alaska ed ex candidata alla vicepresidenza, Sarah Palin, esponente di spicco del Tea Party, ma dal deputato Jack Kingston (25,8%). Anche in Oregon ha vinto il candidato dell’establishment, la moderata Monica Wehby (50,7%), impostasi sul candidato sostenuto dai Tea Party, Jason Conger (37,1%).

Le sfide principali

Nelle primarie democratiche si registra un trionfo delle candidate donne: Alison Lundergan Grimes sfiderà McConnell in Kentucky, mentre Michelle Nunn è stata eletta in Georgia. In Arkansas a novembre si sfideranno il senatore democratico Mark Pryor e il deputato repubblicano Tom Cotton. In Pennsylvania, infine, il democratico Tom Wolf affronterà il governatore repubblicano Tom Corbett.

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