Sui social network Barack Obama è stato sonoramente preso in giro per il completo color beige (nella foto) con cui si è presentato, in conferenza stampa, per parlare di gravi questioni internazionali. “Non puoi dichiarare guerra con questo abito?”, ha twittato maliziosamente Damian Paletta del New York Times. Qualcuno ha prontamente ribattuto: “L’audacia del color talpa” (in inglese taupe fa rima con hope). Altri, parafrasando il celebre slogan del 2008, hanno sentenziato: “Yes we tan” (Sì noi marrone chiaro). Le battute, a onor del vero, hanno divertito anche il presidente, tanto che il suo potavoce ha aperto la conferenza stampa con una battuta: “Il presidente resta coraggiosamente fermo nella decisione di indossare il suo completo estivo”.

L’opinione pubblica, che di certo non si fa condizionare dai vestiti, sembra sempre più delusa dal presidente. Secondo un sondaggio del Pew Center pubblicato da Usa Today la maggioranza degli americani (54%) pur essendo stanca della guerra crede che Obama dovrebbe essere più duro (determinato) in politica estera. Un anno fa, invece, il 51% era convinto che il capo della Casa Bianca facesse troppo per le questioni estere e dovesse dedicarsi di più alle questioni nazionali. La percezione dei cittadini in appena dodici mesi è profondamente cambiata, sicuramente per effetto dei nuovi rischi derivanti dal terrorismo internazionale (leggi Isis e non solo).

Sicuramente Obama sta incontrando non poche difficoltà nella gestione delle crisi internazionali. E, sulla Siria, ha ammesso candidamente: “Non ho una strategia”. Qualcuno si è messo le mani nei capelli, osservando: come fa un commander in chief ad affermare una cosa del genere? I repubblicani, com’era prevedibile, ci hanno inzuppato il biscotto: “La strategia di Obama? Non avere una strategia in politica estera”. E lo accusano di “non accettare il fatto che siamo in guerra”. La Casa Bianca però ha chiarito che il presidente si riferiva solo alle decisioni riguardanti la Siria e non in generale. La priorità numero uno è e rimane l’Iraq. E il “cancro dell’Isis da estirpare”? Certo, c’è anche quello. Però i problemi sul tappeto sono tanti, troppi. E a tutti questi non può più pensare solo e soltanto l’America.

 

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