Aveva il sogno di sfondare nel diamante che ipnotizza gli americani, il baseball. E stava per riuscirci. Da ragazzo Mario Cuomo (morto il primo gennaio 2015 nella sua abitazione di Manhattan) fu notato e scritturato da un osservatore dei Pittsburgh Pirates: giocò nella lega minore con i Brunswick ma nel suo futuro c’era scritto qualcosa di diverso dallo sport professionistico. Figlio di due italiani, era nato nel quartiere newyorchese di Queens nel 1932. Laureatosi in legge, iniziò a lavorare come avvocato. Quarantenne, divenne famoso nella Grande mela perché difese con successo gli interessi di alcuni residenti di Forest Hills, zona benestante che ospita l’Us Open di tennis, che si opponevano alla costruzione di grandi case popolari nel quartiere. Candidatosi alla carica di liutenant governor (vicegovernatore) non fu eletto, ma l’anno dopo, nel 1975, il governatore dello Stato di New York, Hugh Carey, lo nominò segretario di Stato. Iniziò, così, la brillante carriera politica di Mario Cuomo. Per due volte tentò di candidarsi sindaco di New York, senza riuscirvi. Il suo primo tentativo di diventare sindaco contro Ed Koch (che non affrontò mai le voci sul suo orientamento sessuale) fu all’insegna di uno slogan molto aggressivo, da cui lui stesso prese le distanze: “Vote for Cuomo, not the Homo”. Nel 1978 fu eletto vicegovernatore, ma il grande salto arrivò nel 1983, quando divenne governatore, sconfiggendo Edward Koch nelle primarie del Partito democratico e vincendo poi le elezioni contro il repubblicano Lewis Lehrman. Vinse in modo netto le due elezioni successive, governando ininterrottamente per tre mandati consecutivi, dal 1983 al 1994. Fallì la corsa per il quarto mandato, nel 1994, travolto da George Pataki e dall’onda lunga repubblicana, con il Gop che si affermò in diversi stati e prese il controllo di Camera e Senato. Cuomo pagò, in quell’occasione, la ferma opposizione alla pena di morte. I repubblicani, infatti, lo presero di mira collegando la sua posizione a un assassino che, liberato sotto cauzione, in seguito era diventato un serial killer.

Le idee politiche di Cuomo

Arrivò all’apice del suo potere politico quando alla Casa Bianca siedeva Ronald Reagan, simbolo della rivoluzione della destra americana basata sullo “Stato minimo” e sulla strenua lotta per la riduzione delle tasse. Cuomo era agli antipodi: alla base del suo impegno politico c’era l’intervento statale, a cui lui attribuiva un ruolo molto grande. Era un liberal, cioè un uomo di sinistra. Nel suo  discorso d’insediamento nella carica di governatore, nel 1983, disse: “Questo Stato ha sempre guidato gli altri nel mostrare come un governo possa essere utile per i cittadini”. Cuomo amava definirsi un “progressista pragmatico”, cioè un uomo di sinistra che però badava al sodo, alla concretezza, mettendosi al servizio di chi aveva bisogno ma senza dimenticare i problemi generali del Paese. Mario Platero sul Sole24Ore scrive che Cuomo fu il simbolo del sogno americano: “Figlio di immigrati, Andrea e Immacolata, che arrivarono in America dalla provincia di Salerno senza una lira, che non parlavano inglese, che faticarono per poter far studiare i figli, resta un simbolo non solo della bandiera “liberal” nel partito democratico, ma il simbolo dello stesso sogno americano. Studiò legge e si dedicò presto alla politica”. Lo stesso concetto (sogno americano) è stato espresso da Bill Clinton, secondo cui la vita di Cuomo “è stata una benedizione”, “l’incarnazione del sogno americano”. “

Fermo oppositore della pena di morte, cattolico e liberale, era favorevole all’aborto: questa posizione gli costò critiche durissime da parte della Chiesa cattolica. In un celebre discorso del 1984 difese così le proprie idee in tema: chiarì che non avrebbe mai scelto di abortire ma, al contempo, non avrebbe mai voluto imporre il punto di vista della chiesa sugli altri, anche rischiando “che qualcuno imponga il suo punto di vista su di noi”. Reagan però letteralmente stracciò Mondale, vincendo in 49 Stati su cinquanta. Mondale si dovette accontentare del suo Minnesota, dove vinse con uno scarto misero dello 0,2% dei voti.

L’appuntamento mancato con la Casa Bianca

Per la sua indecisione a correre per la Casa Bianca, fu soprannominato  l’Amleto di Hudson. Tra i leader democratici più in vista negli anni Ottanta, per due volte sfiorò la candidatura (nel 1980 e nel 1992). La seconda volta, nel 1992, era ormai a un passo dalla “discesa in campo”: aveva già noleggiato gli aerei per la campagna elettorale e stava andando in New Hampshire per firmare i documenti necessari alla candidatura alle primarie. All’ultimo momento (circa un’ora e mezzo prima della scadenza) ci ripensò, e si tirò in disparte. Diede la colpa ai problemi economici del suo stato, sottolineando che non avrebbe potuto dedicarsi ad altro. Ma era una scusa. Probabilmente non se la sentiva di finire nel tritacarne mediatico in cui sua moglie, Matilda, era già finita per i presunti legami della sua famiglia con la mafia (leggi qui). O forse, molto più semplicemente, non era per nulla convinto di farcela. Il suo ritiro lasciò campo libero a Bill Clinton, i cui consiglieri politici vedevano proprio in Cuomo l’avversario più temibile nelle primarie dell’Asinello.

Cuomo amava la politica, ma al contempo la definiva “un mestiere sporco”. Alla convention democratica del 1984 fece ombra al candidato del partito Walter Mondale e attaccò duramente la visione di Ronald Reagan di un America “città scintillante sulla collina”. Cuomo puntò il dito contro l’incapacità (di Reagan) di vedere che in “questa nazione ci sono due città”, quella dei ricchi e quella dei poveri.

Il ricordo di Obama

Mario Cuomo era “un campione determinato di valori progressisti, una voce risoluta per la tolleranza, l’inclusività, l’equità, la dignità e l’opportunità”. Così, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha ricordato l’ex governatore dello Stato di New York.

E quello del New York Times

Governatore dello stato di New York in un periodo turbolento, dal 1983 al 1994, Mario Cuomo, il primo italo-americano ad essere eletto nell’incarico, “riuscì ad attirare l’attenzione del paese con una convincente presenza pubblica, una forte difesa del liberalismo e le sue approfondite meditazioni su un’eventuale corsa per la Casa Bianca”. Il New York Times ricorda così la figura l’ex governatore di New York. “Le sue ambizioni di un governo attivista vennero contrastate dalla recessione. E si trovò a combattere con il parlamento dello stato non su ciò che l’esecutivo avrebbe dovuto fare ma su quali programmi avrebbe dovuto tagliare e su quali tasse avrebbe dovuto alzare, semplicemente per riequilibrare il bilancio”. Ma per quanti problemi fu costretto ad affrontare a livello locale, sottolinea ancora il Nyt, grazie alla sua statura politica Cuomo – con “la sua ampia ed assertiva idea di governo ed il suo messaggio di compassione intriso di cattolicesimo, elemento centrale della sua identità” – riuscì ad affermarsi oltre i confini del suo stato, “per arrivare ad impersonare l’ala liberale del partito nel Paese e diventare una fonte di fascinazione inesauribile” e, alla fine, di “frustrazione per i Democratici i cui leader per due volte lo spinsero a candidarsi per la presidenza, invano”.

Il figlio Andrew Cuomo

Cuomo è deceduto nello stesso giorno in cui il suo figlio maggiore, Andrew, è stato investito per un secondo mandato come governatore di New York. “Oggi non è potuto essere fisicamente presente qui. Ma mio padre è in questa sala. C’è con il cuore e con lo spirito di ciascuna delle persone presenti”, ha detto Andrew Cuomo durante il suo discorso di insediamento.

Un pezzo della grandezza dell’America

“Era figlio di immigrati italiani arrivati da Salerno – scrive sul suo blog Francesco Costa -. Un immigrato di seconda generazione, tecnicamente. E divenne un leader politico nazionale e un potenziale presidente degli Stati Uniti. Immaginate un politico italiano figlio di tunisini e con nome tunisino che arringhi le folle parlando di ‘noi italiani’. Ecco: tra tante cose che non vanno, questo è un pezzo della grandezza dell’America”.

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