C’è una forte ritrosia da parte della stampa americana (che sulla carta dovrebbe essere paladina della libertà) a pubblicare le vignette di Charlie Hebdo. Giornali, agenzie di stampa e tv Usa hanno preferito evitare, altri, invece, hanno pubblicato oscurando però le vignette “incriminate”. Addirittura la Associated Press ha eliminato dal proprio archivio una foto in cui compariva Stephane Charbonnier con in mano una copia del suo giornale. Cnn, New York Daily News e Telegraph avevano usato questa foto, provvedendo però, autonomamente, a offuscare il Maometto disegnato sulla copertina. Il dibattito è aperto negli Usa, e non mancano le polemiche: giusto o no pubblicare quelle vignette? Se non lo si fa non è come darla vinta ai terroristi riconoscendo, implicitamente, che avevano una qualche ragione?

Il liberal New York Times fa registrare un litigio ad altissimo livello. Il direttore, Dean Baquet, ha deciso di non pubblicare la copertina del nuovo numero di Charlie Hebdo, con questa motivazione: “Non offendere i musulmani”. Il public editor (garante dei lettori), Margaret Sullivan, non l’ha presa troppo bene, ed ha sottolineato che, in questo caso, avrebbe dovuto prevalere il valore della notizia. Insomma, un’eccezione sarebbe stata utile (e giustificata). La Sullivan già aveva criticato l’autocensura del Nyt, che dopo la strage aveva deciso di non pubblicare le vignette. Passata una settimana rincara la dose: “Abbiamo fatto un disservizio” ai nostri lettori, “come si fa a descrivere la copertina senza mostrarla?”. “Posso capire perché il Nyt dopo le stragi non abbia stampato le immagini più incendiarie di Charlie Hebdo, la nuova copertina però è una parte importante della storia che negli ultimi giorni ha catturato l’attenzione del mondo. E se la vignetta può disturbare le sensibilità di una piccola percentuale dei nostri lettori, non è scioccante né gratuitamente offensiva. E ha un un significativo valore come notizia: come tale avrebbe dovuto essere pubblicata”. Come darle torto?

E gli altri grandi quotidiani Usa? Il Washington Post qualche vignetta l’ha pubblicata. Usa Today, invece, pubblica solo le vignette realizzate in risposta all’attacco. Anche la Cnn per ora non mostra le vignette, sulla base di questa motivazione: “Preoccupazioni per la sicurezza dei lavoratori e per la sensibilità del suo pubblico musulmano”.

Non è la posizione ufficiale del Nyt ma poco ci manca (la firma è quella di David Brooks, editorialista del quotidiano della Grande mela): “I giornalisti di Charlie Hebdo sono celebrati come dei martiri della libertà di opinione, ma analizziamo meglio la questione: se avessero cercato di pubblicare il loro giornale satirico in qualsiasi università americana nelle ultime due decadi sarebbero durati 30 secondi. Gli studenti e le facoltà li avrebbero accusati di incitamento all’odio” (leggi l’articolo). E ancora: “Una società in salute non sospende il diritto di parola, ma concede diverse posizioni a diversi tipi di persona. Persone sagge e professori sono ascoltati con rispetto. Gli autori satirici sono ascoltati con disorientato semirispetto. I razzisti e gli antisemiti sono ascoltati attraverso un filtro di obbrobrio e mancanza di rispetto… il massacro di Charlie Hebdo dovrebbe essere una occasione per porre fine ai codici dei discorsi. E dovrebbe ricordarci di essere legalmente tolleranti con le voci offensive, anche se siamo socialmente discriminati da esse”. Prevale la cautela negli Stati Uniti, si preferisce evitare guai o, se preferite, abbassare la testa. Perché quelle vignette si possono non condividere, anzi, si possono anche detestare, ma alzare una matita (e quindi anche una vignetta) di fronte a chi vuole spegnere la libertà con le pallottole non è solo utile, è doveroso.

 

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