Nozze gay e aborto, il Texas sfida la Corte suprema
Negli Stati Uniti è ormai guerra aperta tra il Texas e la Corte Suprema. La prima mossa dello stato conservatore del Sud è stata quella di bollare come “fuorilegge” la sentenza con cui la Corte ha autorizzato i matrimoni gay. Il procuratore generale del Texas, il repubblicano Ken Paxton, ha detto che i funzionari dello Stato texano potranno rifiutare i certificati di nozze sulla base delle proprie credenze religiose. Coloro che sceglieranno questa via (l’obiezione di coscienza) potranno essere multati ed eventualmente saranno trascinati in tribunale, ma il procuratore ha altresì aggiunto che “molti avvocati” sono disposti a difendere gratis i funzionari che faranno obiezione di coscienza. Quello di Paxton è un attacco frontale alla sentenza della Corte, definita una decisione senza fondamenti legali: “Noi riteniamo che nonostante abbia inventato un nuovo diritto costituzionale, la Corte Suprema non abbia ancora diminuito, abolito o messo in dubbio i diritti garantiti dal primo emendamento che permettono il libero esercizio della propria religione”.
Intanto la Corte Suprema ha bloccato temporaneamente la chiusura delle nove strutture che praticano gli aborti in tutto il Texas (nelle altre è vietato). Il blocco degli ambulatori doveva entrare in vigore mercoledì ed era stato deciso dal governo del Texas perché il loro adeguamento agli standard ospedalieri avrebbe comportato “tasse per milioni di dollari” per consentire le interruzioni di gravidanza. Le cliniche potranno restare aperte almeno fino a quando la Corte Suprema non avrà deciso se approfondire o meno il caso, che vede i sostenitori del diritto all’aborto opporsi alla legge del Texas, che punta invece a chiudere le strutture che lo praticano. E’ la seconda volta che la Corte Suprema interviene sulla legge per l’aborto in Texas, concedendo la possibilità alle cliniche per l’aborto di restare aperte nonostante le norme approvate. La legge del Texas, fortemente voluta dai repubblicani, impone che gli aborti siano effettuati in chirurgia ambulatoriale o mini ospedali dagli standard molto elevati, per cui sono necessari investimenti per milioni di dollari. Queste norme però mettono a rischio la sopravvivenza delle cliniche esistenti, che allo stato attuale non hanno i fondi per adeguarsi, e quindi limitano – secondo le associazioni che tutelano i diritti delle donne – la possibilità di scelta delle donne stesse. La legge del Texas sugli aborti è la più severa di tutti gli Stati Uniti, vietando l’interruzione dopo la ventesima settimana e imponendo limiti alle cliniche che le praticano.
Nel durissimo braccio di ferro tra Corte suprema e Texas si inserisce la campagna elettorale per la Casa Bianca. Per ovvie ragioni i candidati non potranno fare a meno di schierarsi. E le loro posizioni, inevitabilmente, influenzeranno gli elettori. Ted Cruz, senatore del Texas e candidato alle primarie repubblicane, ha già preso posizione a proposito della decisione della Corte suprema sui matrimoni gay: ignorarla. La motivazione, ancor prima che politica (e morale) è giuridica: la sentenza riguarda espressamente Ohio, Tennessee, Michigan e Kentucky. Non essendo direttamente menzionato il Texas tecnicamente può fare a meno di seguire le indicazioni della Corte. E anche se le corti federali sono obbligate ad applicare la decisione, c’è sufficiente legna per alimentare le fiamme dello scontro politico, con il senatore Cruz che lancia la crociata contro il “cartello di Washington” di cui fanno parte anche diversi repubblicani.