“Trump? Bugiardo”. Ma il presidente esulta: “Comey mi scagiona”
L’ex direttore dell’Fbi, James Comey, ha affrontato l’udienza davanti alla commissione intelligence del Senato che indaga sul Russiagate. Le sue parole erano molto attese e lui ha attaccato duramente il presidente Trump, definendolo bugiardo e accusandolo di diffamazione ai danni del Bureau. Non ci si poteva aspettare nulla di diverso, visto che il presidente l’ha cacciato in quattro e quattr’otto lo scorso 9 maggio. “Nonostante la legge non richiedesse alcuna ragione per licenziare il direttore dell’Fbi, l’amministrazione allora ha scelto di diffamare me e, cosa più importante, l’Fbi, dicendo che l’organizzazione era nel caos e che il personale aveva perso fiducia nel suo leader” ma “queste erano bugie, pure e semplici bugie”, tuona Comey. La Casa Bianca ha risposto subito (Trump non ancora): il presidente “non è un bugiardo”. Il tycoon si è limitato a dire: “Siamo sotto assedio…ma ne usciremo più grandi e più forti che mai”.
Quando gli chiedono perché è stato allontanato, Comey risponde serafico: “Non so perché. Prendo il presidente in parola sul fatto che sono stato licenziato per il modo in cui dirigevo l’indagine sulla Russia e per la pressione che questo esercitava su di lui”. E insiste assicurando di non avere dubbi sul fatto che la Russia abbia interferito nelle ultime elezioni americane, aggiungendo però che nessun voto espresso è stato alterato.Quindi per interferenza cosa si intende? Solo tifo e propaganda? O magari anche qualche soffiata (mail hackerate) fatta crcolare nel momento più opportuno?
Sul conto di Michael Flynn, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, Comey bi dice ai senatori che Trump gli chiese di lasciare perdere l’indagine. Non va oltre però. Cioè non dice che si è trattatodi ostruzione alla giustizia: “Non penso che stia a me dire se la conversazione che ho avuto con il presidente sia stato un tentativo di ostruzione” della giustizia ma “l’ho presa come una cosa molto allarmante e preoccupante”. Il tema è centrale: è proprio su questo punto che poterebbe scattare, per Trump, l’eventuale procedura di impeachment al Congresso. La Costituzione è molto chiara in proposito: parla di “tradimento, corruzione e altri alti crimini e misfatti”. Se dovesse finire così, però, i tempi non sarebbero brevi. Ci vorrebbe almeno qualche anno, con un primo passaggio alla Camera (che deve approvare a maggioranza la richiesta di impeachment), e poi il “processo” vero e proprio al Senato, che necessiterebbe di una maggioranza di almeno due terzi per un’eventuale condanna.
C’è un dettaglio su cui Comey non fa una bellissima figura. L’ex direttore dell’Fbi ha ammesso di avere fatto avere al New York Times i suoi appunti delle conversazioni con il presidente, tramite un amico (professore di diritto alla Columbia University), dopo che Trump minacciò su Twitter di pubblicare le registrazioni dei loro colloqui. Con questa mossa Comey sperava nella nomina di un procuratore speciale sul Russiagate (poi è stato scelto Robert Mueller). “Oggi – ha detto Marc Kasowitz, avvocato di Trump – Comey ha ammesso di avere unilateralmente e surrettiziamente fatto rivelazioni non autorizzate alla stampa di comunicazioni confidenziali con il presidente. Lasceremo alle autorità competenti di stabilire se su queste fughe di notizie si debba indagare”.
Il clima, a Washington, è molto teso e cupo. A molti osservatori ricorda la serie tv “House of Cards”, con gli intrighi di palazzo, gli sgambetti e i mille sotterfugi della politica. Trump è ferito e incerottato, come ha scritto oggi Paolo Guzzanti sul Giornale (leggi), ma non è indebolito. Resta al suo posto. Per buttarlo giù ci vuole ben altro.
Dopo qualche ora torna a farsi vivo Trump. Su Twitter scrive di essere stato “del tutto e completamente discolpato” dalla testimonianza di Comey. Trump si riferisce al passaggio in cui Comey ha detto che il presidente non si trovava personalmente sotto inchiesta per il Russiagate. “A dispetto di tante falsità e montature io totalmente discolpato”… ed ha aggiunto: “Wow, Comey è uno spione”. In questo caso il presidente punta il dito contro Comey, che ha ammesso di aver chiesto ad un amico di far circolare nella stampa alcuni appunti sui suoi incontri con Trump.