Siria, Donald Trump incontra dirigenti militari alla Casa Bianca a WashingtonNessuna sorpresa. Trump ama comunicare con il mondo in modo immediato, attraverso Twitter. L’ultimo messaggio che ha lanciato, alle 7 del mattino (ora di Washington) è un  chiaro avvertimento: “La Russia promette di abbattere tutti i missili sparati in Siria. Preparati Russia, perché arriveranno, saranno belli e nuovi e intelligenti. Non dovreste essere alleati di un animale che uccide il suo popolo e se la gode”.

Andrà a finire come l’altra volta (7 aprile 2017), con un “bombardamento dimostrativo”, una dimostrazione di forza con cui Trump ancora una volta ricorderà che l’America c’è e che non ha bisogno né voglia di stare troppo a discutere e a mediare, quando c’è da prendere una decisione? Quella volta Trump decise di dare un segnale ad Assad (ma anche a Mosca e Teheran), lanciando 59 missili Tomahawk contro la base militare siriana di Shayrat, a sud-est di Homs. Attacco che decise in piena autonomia (senza chiedere autorizzazione al Congresso), come ritorsione dopo un attacco chimico a Khan Shaykhun, a sud di Idlib, in cui persero la vita decine di persone. Prima di aprire il fuoco gli Usa avvertirono i russi e, nonostante qualche dichiarazione di prammatica, lo scontro finì senza troppe conseguenze.

Ma avrebbe senso, oggi, ripetere quanto già fatto un anno fa con risultati pressoché nulli? Se Trump ritiene che la “linea rossa” (non usare le armi chimiche) sia stata usata, può limitarsi a sganciare qualche missile, per giunta avvisando prima di schiacciare il bottone? Le opzioni sono queste: un attacco limitato, come già detto (che in pratica non muterebbe di una virgola l’assetto attuale). L’altra ipotesi è iniziare a porre delle condizioni più forti ad Assad, per rendergli la vita più difficile, ad esempio mandando nuove armi (ma a chi? I “ribelli sono sempre meno e in pratica sono stati sconfitti da Damasco, grazie a Russia e Iran).

Un’altra opzione è colpire in modo durissimo (oltre ogni aspettativa) Damasco, puntando alla distruzione del regime. Ovviamente ciò comporta il rischio di una reazione immediata da parte di Mosca e Teheran, che sul campo fiancheggiano Assad. Con il rischio di  veder risorgere i gruppi di jihadisti presenti sul territorio.

Un’alternativa è quella di dare una bastonata in testa alla Siria ogni qualvolta ci sia qualcosa che non va, senza pretendere di riscrivere la storia (e la geografia), ma sottolineando, con la forza, che un certo comportamento non viene più tollerato. E in tal senso bisogna che lo capiscano anche la Russia e l’Iran. Infine c’è anche un’altra ipotesi: non fare nulla. E aspettare di vedere cosa succede.

Mosca intanto risponde a Trump: “I missili Usa dovrebbero colpire i terroristi e non il governo legittimo”, ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri, aggiungendo che eventuali bombardamenti americani potrebbero distruggere le presunte prove di attacco chimico.

La partita a scacchi sulla Siria continua…

 

 

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