Bloomberg fa sul serio
Non è il primo e di certo non sarà l’ultimo miliardario che prova a candidarsi per la Casa Bianca. Stiamo parlando di Michael Bloomberg, ex sindaco di New York, con un patrimonio stimato in 54 miliardi di dollari (diciassette volte quello di Trump, valutato circa 3,1). Essere più ricchi di tutti non comporta il successo automatico di un politico (o aspirante tale), anche se non possiamo ignorare il fatto che disporre di cospicue risorse in campagna elettorale è di fondamentale importanza.
Dopo mesi di tira e molla Bloomberg ha ufficilizzato l’intenzione di correre per le primarie democratiche, sperando di vincerle e di essere, in questo modo, l’uomo che sfiderà Trump per la presidenza degli Stati Uniti. “Sono candidato presidenziale per battere Donald Trump e ricostruire l’America”, ha detto il miliardario sul proprio sito. “Non possiamo permetterci altri quattro anni di azione immorale e sconsiderata di Trump”. Poi ha sottolineato che Trump “rappresenta una minaccia esistenziale per il nostro paese e i nostri valori e se vince un nuovo mandato, non potremmo mai riprenderci”.
Settantasette anni, Bloomberg punta a quella fetta di elettorato meno orientato a sinistra che in passato (vedi elezioni di Bill Clinton e poi di Barack Obama) è stata decisiva per far pendere l’ago della bilancia dalla parte democratica. La stessa base elettorale cui fa riferimento Joe Biden, che però sembra sempre più acciaccato e non in grado di controbattere efficacemente all’energia di Elizabeth Warren e all’incrollabile verve del “socialista” Bernie Sanders.
L’ex sindaco di New York ha già messo in programma una campagna pubblicitaria da 31 milioni di dollari in spot tv per “scaldare i motori”. Qualcuno tra i democratici (Sanders in primis) ha già storto la bocca per questa ostentazione di ricchezza. Ma a conti fatti è meno di un terzo di quanto Bloomberg spese nel 2009 per il suo terzo mandato da sindaco della Grande Mela (102 milioni). “Sono disgustato – aveva twittato Sanders – all’idea che Bloomberg o qualunque altro miliardario possa aggirare il processo politico e spendere decine di milioni di dollari per comprare le elezioni”.
Visto il ritardo con cui si è candidato Bloomberg non correrà nei primi stati dove si vota nelle primarie americane: gli elettori democratici, quindi, non potranno sceglierlo in Iowa, New Hampshire, Nevada e Carolina del Sud. Un vuoto che potrebbe essere pesante da colmare a livello di immagine (ma non come numero di delegati necessari per ottenere la nomination). Bloomberg ovviamente lo sa bene e, per non disperdere inutilmente energie, tempo e forze, ha puntato tutto sul “Super Tuesday” del prossimo 3 marzo, quando si voterà nei seguenti stati: Alabama, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont e Virginia. Potranno votare anche i democratici residenti all’estero.
Orgoglioso self made man (“non come Trump che, come ha detto più di una volta, ha ricevuto il primo milione da suo padre”) Bloomberg molto la definizione che gli è stata data tempo fa e che ha usato nel suo video di presentazione per la candidatura: “Un ragazzino della classe media che è stato bravo”. Non si vergogna della propria ricchezza, anzi, cerca di “vendere” questa sua caratteristica come garanzia per gli americani: “Uno così non può essere comprato”.
Nato a Boston nel 1942 da una famiglia di immigrati ebrei provenienti dalla Russia (suo padre fa il contabile), Bloomberg si laurea in Ingegneria elettronica alla Johns Hopkins University di Baltimora e poi consegue un Master in Business Administration ad Harvard. Inizia a lavorare a Wall Street e a 31 anni diventa partner della banca d’investimento Salomon Brothers, per la quale cura il trading azionario e, in seguito, lo sviluppo dei sistemi. Otto anni dopo la banca viene ceduta e Bloomberg perde il posto, ricevendo però 10 milioni di dollari come buonuscita. Li usa mettendo in piedi il proprio business, creando la Innovative Market Systems: vendere informazioni di alta qualità a chi è disposto a pagare per il proprio business. Il suo primo cliente è Merrill Lynch, che si fa installare 22 terminali. In otto anni l’agenzia di Bloomberg, che ormai ha preso il suo nome, ha già piazzato ottomila terminali.
Nel 2001 si candida a sindaco di New York nel 2001, correndo come repubblicano. Viene eletto e riconfermato per altre due volte. Durante il suo secondo mandato abbandona il partito dell’Elefante e diventa indipendente. Conservatore moderato (sul fronte economico) non nasconde le proprie simpatie liberal sui temi sociali (aborto, diritti gay, immigrazione, controllo armi) e ambientali. In contrapposizione con Trump ha lanciato Beyond Carbon, una forte mobilitazione contro i cambiamenti climatici, che ricorda l’ex vicepresidente Al Gore, battuto da George W. Bush nel 2000 per un pugno di voti in Florida.
Pochi giorni dopo l’ufficializzazione della candidatura Bloomberg è partito subito all’attacco di Trump: “Abbiamo un presidente, un comandante in capo, che non ha rispetto per lo stato di diritto, che non ha alcuna preoccupazione per l’etica o l’onore o per i valori che fanno l’America veramente grande. Penso che ci sia un rischio maggiore rispetto a prima che Trump venga rieletto. Io mi sono guardato allo specchio e mi sono detto, ‘non puoi permettere che accada’”.
Bloomberg sostiene di sapere cosa serva “per battere Trump perché l’ho già fatto altre volte prima e lo farò di nuovo: penso di sapere di cosa ha bisogno questo Paese ed è quello su cui mi concentrerò”. Punta su tre parole chiave, con cui si presenta agli americani: Job creator, Leader, Problem Solver (creatore di posti di lavoro, leader e uomo in grado di risolvere problemi). Lo slogan (per ora) è questo: Rebuild America (Ricostruire l’America).
La sfida tra miliardari è iniziata. Ne vedremo delle belle. La parola (e il voto) agli americani.
– Guarda il video di presentazione di Bloomberg