trump_siriaTutti si chiedono cosa accadrà dopo il blitz con cui gli Stati Uniti hanno ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani, capo delle milizie al-Quds dei Guardiani della Rivoluzione, la forza d’elite dell’esercito della Repubblica islamica, incaricata di compiere le operazioni all’estero.

Il Times lo aveva definito il Machiavelli del Medio Oriente, inserendolo tra i venti volti che avrebbero potuto dare forma al mondo nel 2020. “Questo – scriveva il giornale britannico – sarà l’anno in cui l’esile generale dai capelli grigi cementerà la sua reputazione di Machiavelli del Medio Oriente o dimostrerà che anche gli attori più scaltri possono fare le spese della superbia. In qualità di capo della Forza al Quds, egli ha realizzato il sogno iraniano di un corridoio terrestre da Teheran al Mediterraneo controllato da milizie leali. Ma sta incontrando resistenza, con la popolazione sciita dell’Iraq che si rivolta contro l’Iran. il generale Soleimani sa di dover ora dimostrare di meritare la fiducia dell’Ayatollah Ali Khamenei”. Soleimani era molto più di un generale. Aveva creato un corridoio iraniano, da Baghdad fino a Damasco e Beirut, rendendo la Repubblica islamica una potenza regionale. Aveva guidato la strategia iraniana nelle aree di crisi della regione, dalla Siria all’Iraq, fino allo Yemen. Vicinissimo alla Guida Suprema, Ali Khamenei, era stato nominato alla fine degli anni Novanta comandante della Forza Quds, che si occupa principalmente delle operazioni all’estero dei Pasdaran. Prima di diventare comandante del reparto di elite, era stato protagonista durante la guerra contro l’Iraq. Artefice della sconfitta dell’Isis in Iraq e (insieme alla Russia) della resistenza di Assad in Siria, ultimamente era sempre più presente sui media iraniani e già si parlava di un suo ingresso in politica. “Puoi iniziare una guerra – aveva detto pubblicamente rivolgendosi a Trump – ma saremo noi a finirla. Chiedi ai tuoi predecessori. Smettetela di minacciarci”. Sul nucleare Soleimani era un sostenitore della linea dura.

L’Iran promette vendetta. In una lettera postata sul proprio sito ufficiale il presidente Hassan Rohani ha scritto: “Indubbiamente l’Iran e altri Stati indipendenti vendicheranno questo crimine terribile commesso dagli Stati Uniti”. Ed ha aggiunto che “questo atto è un’altra macchia scura sugli Stati Uniti”. Tutto è possibile anche se difficilmente Teheran dichiarerà guerra agli Stati Uniti. Molto più probabile una reazione strisciante e diffusa che miri a destabilizzare gli interessi americani. Una reazione durissima ma non impulsiva, e per questo più imprevedibile e pericolosa.

Il tema entra prepotentemente nell’agenda politica americana, e vi resterà per mesi. Qualcuno ipotizza che Trump abbia fatto scattare il blitz per trarne un vantaggio politico in vista delle elezioni del 3 novembre. Ma era proprio necessario visto che l’economia Usa va così bene e che i suoi rivali sono (ancora) così deboli? Sicuramente dietro c’è dell’altro. Trump ha voluto mettere un paletto, segnando un confine che non può essere superato: secondo il Pentagono, infatti, Soleimani stava preparando degli attacchi contro diplomatici americani e personale in servizio in Iraq e nell’area. Ma il raid che ha ucciso il generale non vuole essere solo punitivo, vuole essere soprattutto un deterrente per convincere l’Iran a non andare avanti con i propri piani di attacco. Il messaggio è chiaro: l’America non esiterà a intervenire ogni qualvolta si renda necessario tutelare i propri uomini e i propri interessi nel mondo. Anche in Medio Oriente.

Joe Biden, in corsa per le primarie democratiche in vista delle presidenziali 2020, sottolinea che “Trump ha gettato dinamite in una polveriera”, pur riconoscendo che “Soleimani meritava di essere consegnato alla giustizia per i suoi crimini contro le truppe americane. Trump – prosegue – deve al popolo americano una spiegazione sulla sua strategia”. Anche la senatrice Elizabeth Warren ha criticato la decisione della Casa Bianca, pur definendo Soleimani “un assassino, responsabile della morte di migliaia di persone, inclusi centinaia di cittadini americani”. Nancy Pelosi, speaker della Camera, osserva che “non possiamo mettere a rischio le vite dei nostri funzionari, dei nostri diplomatici, con queste provocazioni sproporzionate”.

Compatto il fronte repubblicano. I senatori Marco Rubio, Tim Cotton e Jim Risch (presidente della Commissione Affari Esteri) hanno approvato l’eliminazione di Soleimani. E lo stesso ha fatto Nikki Haley, ex ambasciatrice Usa alle Nazioni Usa, che si è detta orgogliosa del presidente Trump per aver fatto una cosa dura e giusta, eliminando un uomo che aveva le mani sporche di sangue americano.

Alcuni analisti sostengono che con questa mossa Trump abbia ascoltato i “falchi”, i consiglieri più intransigenti, quelli che non vogliono titubanze e premono, da sempre, per la linea dura contro i nemici degli Stati Uniti. Uno dei falchi storici della Casa Bianca, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, si congratula con “tutte le persone coinvolte” nell uccisione del generale Soleimani, e sottolinea che può essere “il primo passo verso un cambiamento di regime a Teheran”. Un “colpo decisivo” contro i Pasdaran iraniani e le loro “attività maligne” in tutto il mondo. A nostro avviso, però, è ipotizzabile che l’uccisione del generale iraniani finisca col rafforzare anche i falchi di Teheran.

 

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