Chiariamo subito una cosa fondamentale: la schiavitù non fu la causa della Guerra civile americana, costata la vita a 620mila uomini (con circa 275mila mutilati). A spiegarlo, in modo inequivocabile, è un testimone d’eccezione, il presidente Abraham Lincoln, in una lettera pubblicata dal New York Times nel luglio 1862: “Se potessi salvare l’Unione senza liberare alcuno schiavo, lo farei; e se potessi salvarla liberando tutti gli schiavi, lo farei”. Eppure Lincoln ancora oggi viene ricordato come il presidente che “liberò gli schiavi”, oltre ad aver salvato l’unione americana.

Per cosa combatterono, dunque, nordisti e sudisti? Alla base di tutto, come spiegato bene da alcuni storici tra i quali ricordiamo Howard Zinn, ci fu lo scontro politico-egemonico tra l’élite settentrionale e quella meridionale. La prima si batteva per l’espansione economica e chiedeva nessun vincolo su terra e lavoro, il mercato libero e, soprattutto, dazi elevati a protezione della propria industria. Il Sud, invece, la cui economia si basava in larga parte sulle piantagioni, aveva altri obiettivi: prima di tutto abolire i dazi doganali, riuscendo così a vendere i propri prodotti e ad acquistare dall’Europa i manufatti, di migliore qualità rispetto a quelli del Nord America, con costi per giunta inferiori. Poi voleva mantenere lo status quo sugli schiavi, formidabile serbatoio di manodopera a costo zero. I dissidi economici ovviamente finivano con l’influenzare anche la politica, creando non pochi problemi nella gestione del Paese. Lo sforzo fondamentale a cui si doveva guardare era l’equilibrio numerico fra gli stati favorevoli ad una fazione (semplificando diremo schiavisti) e l’altra (abolizionisti). Quando la Louisiana nel 1812 venne ammessa nell’Unione si arrivò ad una situazione di perfetta parità, che si tradusse nella perfetta rappresentanza in seno al Senato federale (dove ogni stato mandava due rappresentanti). Tradotto in soldoni ogni volta che si dovevano discutere questioni che, in un modo o nell’altro, finivano con l’incidere su uno dei due blocchi, si provocava lo stallo e nessuna decisione veniva adottata. In alcuni casi l’equilibrio cambiò e furono necessari dei compromessi “temporanei” per riuscire ad andare avanti. Avvenne, ad esempio, con l’ammissione di alcuni stati, facendo sempre ben attenzione a immettere contemporaneamente uno “schiavista” insieme a uno “libero”: lo schema venne seguito per gli ingressi di Missouri e Maine, poi Arkansas e Michigan e ancora Florida e Iowa.

Nel 1850 con l’ammissione della California (stato libero) il blocco sudista disse sì a patto di una legge molto rigida per regolare gli schiavi fuggitivi: si prevedeva l’obbligo di restituirli ai loro legittimi proprietari, anche nel caso in cui fossero stati fermati in uno stato libero dalla schiavitù. Quattro anni dopo, nel 1854, il Congresso decise che per i nuovi stati la schiavitù dovesse essere scelta, o meno, tramite referendum popolari. Nel Kansas, però, si verificò un episodio di non poco conto: per incidere sul risultato della consultazione un gran numero di persone si spostò dal vicino Missouri, a poche settimane dal voto, determinando la vittoria dei sì. Le polemiche furono fortissime, si parlò di brogli e il voto alla fine non venne ratificato.

Di estrema importanza fu l’elezione a sorpresa come presidente, nel 1860, di Abraham Lincoln, in rappresentanza del Partito repubblicano, nato nel 1854 dall’unione di ex esponenti dei “Whig” e del “Suolo Libero” con movimenti antischiavisti, per cercare di opporsi ai Democratici e al loro disegno di portare il sistema politico economico del Sud anche a Ovest. Il Grand Old Party sulle tematiche economiche e sociali posizionò alla sinistra del Partito democratico. Dicevamo che vinse Lincoln, detestato dalla élite dominante del Sud, perché in più di un’occasione aveva affermato che l’Unione non poteva andare avanti con due sistemi economici contrapposti. Alla grandi piantagioni Lincoln preferiva di gran lunga gli agricoltori con appezzamenti meno grandi. Il divario ideologico si acuì al punto che un gruppo di stati del Sud, prima dell’insediamento del nuovo presidente, decise di compiere il grande passo, dichiarando la secessione: a guidare la fronda furono South Carolina, Georgia, Florida, Alabama, Mississippi, Louisiana e Texas. A ruota si allinearono Virginia, North Carolina, Arkansas e Tennessee. Nacquero gli Stati Confederati d’America, con capitale Richmond (Virginia) e la “Croce del Sud” (croce di sant’Andrea blu con sfondo rosso e le stelle, pari al numero degli stati, lungo i bracci). A guidare i sudisti Jefferson Davis, politico e militare nonché proprietario di una piantagione (in cui aveva bandito le frustate e lasciato l’amministrazione della giustizia interna agli schiavi stessi).

Alla dichiarazione d’indipendenza da parte dei sudisti Lincoln rispose, nel suo solenne discorso di insediamento come presidente, che la secessione non aveva alcun fondamento legale. L’inizio della guerra avvenne con la presa di una base militare posta in South Carolina, Fort Sumter, da parte dei sudisti: Lincoln reagì dando il via libera alla creazione di un esercito di volontari.

La guerra andò avanti dal 12 aprile 1861 al 9 maggio 1865. Si concluse con la resa del generale Robert E. Lee ad Appomattox (Virginia) il 9 aprile 1865. Pochi giorni dopo, il 14 aprile, Lincoln fu assassinato con un colpo di pistola da un attore che sperava, in quel modo, di riaccendere la ribellione dei sudisti. A prendere il potere fu il vicepresidente, Andrew Johnson, che verrà ricordato come il primo nella storia americana costretto ad affrontare un impeachment (non gli fu perdonato l’atteggiamento conciliatorio verso i sudisti sconfitti). Per pochi voti conservò il posto di presidente.

In un altro post torneremo sulla Guerra civile, cercando di soffermarci sul suo svolgimento. Quello che ci preme ora sottolineare è l’enorme impatto che questa sanguinosa guerra ebbe sugli Stati Uniti negli anni a seguire, a partire dalla riflessione culturale che si accese. Walt Whitman, poeta, scrittore e giornalista, nei poemi “Rulli di tamburo” (poi confluiti nella celebre raccolta “Foglie d’erba”) descrisse nei dettagli lo scontro fratricida. Un altro scrittore, Stephen Crane, si soffermò sull’angoscia e la confusione derivante dal conflitto, nel romanzo “Il segno rosso del coraggio”. Più tardi anche il cinema si soffermò su quegli anni: su tutti ricordiamo i film “Via col vento” (di Victor Fleming, 1939) e “La Legge del Signore” (di William Wyler, 1956). In un film del 1915, “The Birth of a Nation” (di D.W. Griffith), prevale un fortissimo senso di rivalsa sudista, in cui il profondo sud viene rimesso in sesto (e in ordine) grazie al Ku Klux Klan e alle loro scorribande con i cappucci bianchi.

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Per questo post sono stati consultati i seguenti libri: “Storia della guerra civile americana” (Rizzoli, 1985); “La guerra civile americana” (Il Mulino, 2003); “Americana” (il Saggiatore, 2012).

 

Foto: il dipinto di Rick Reeves mostra il 33° New Jersey Infatry che subisce l’assalto della fanteria confederata durante la sanguinosa battaglia di Peachtree Creek (20 luglio 1864), alle porte di Atlanta. 

 

 

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