Nel giorno in cui gli Stati Uniti festeggiavano i 50 anni dalla dichiarazione d’indipendenza, morirono due ex presidenti: John Adams e Thomas Jefferson. Due grandi amici fin dagli anni della rivoluzione americana, che condivisero le battaglie per l’indipendenza delle colonie dal Regno britannico, si allontanarono per forti contrasti di vedute, divenendo avversari politici, salvo poi riconciliarsi negli ultimi anni della loro vita; Adams nella sua casa di campagna a Quincy, nel Massachusetts, Jefferson nella sua tenuta di Monticello, in Virginia. Nell’ultima puntata della mini serie tv “John Adams” (Hbo, 2008, in onda quest’anno in Italia su Sky Atlantic), i due padri fondatori americani vengono ben descritti. La serie si basa sul romanzo omonimo, vincitore del premio Pulitzer, dello storico David McCullough.

Mi è piaciuta molto questa serie tv. Mostra, nella sua nuda crudezza, la nascita del Paese a stelle e strisce, tra sogni e bisogni, fatta di battaglie ideali, alleanze, liti e contrasti. C’è tutto. E fin dall’inizio si capisce bene che gli Stati Uniti sono nati con una profonda spaccatura interna, tra due concezioni opposte (quella che propugnava uno stato federale forte e quella, invece, che voleva garantire l’assoluta indipendenza dei singoli stati) che insieme ad altre divisioni economiche e politiche darà poi origine alla sanguinosa Guerra di Secessione.

La serie tv inizia narrando un grave fatto di sangue, il massacro di Boston, avvenuto il 5 marzo 1770: cinque civili vengono uccisi dal piombo dei fucili dei soldati del Regno Unito. L’esercito di Sua Maestà era stato inviato due anni prima, nelle colonie, per controllare il territorio e far applicare i Townshend Act, che restringevano le libertà degli americani in materia di commercio e tasse. L’avvocato John Adams accetta di difendere il capitano Thomas Preston, non perché volesse parteggiare con gli inglesi (com’era accusato dai propri concittadini) ma solo perché sentiva il dovere di garantire un giusto processo. Adams vince la causa, distinguendosi per acume, conoscenza profonda delle leggi e capacità dialettiche. Poco dopo viene eletto rappresentante del Massachusetts al primo Congresso continentale. È l’inizio della sua lunga carriera politica, che lo porterà per diversi anni anche in Europa, come diplomatico, fino alla Casa Bianca, da presidente (fu il primo ad abitarvi).

Al primo e al secondo Congresso americano, a Filadelfia, Adams si battè per l’indipendenza dall’Inghilterra e spinse più di altri sulla necessità di ingaggiare uno scontro militare, attraverso l’esercito rivoluzionario la cui guida fu affidata al colonnello George Washington, rappresentante della Virginia, che vantava grande esperienza con le armi avendo combattuto nelle guerre franco-indiane.

Due anni dopo l’indipendenza Adams fu inviato a Parigi, come rappresentante diplomatico, dove arrivò quando l’alleanza franco-americana era già stata siglata, grazie alle mediazioni di Benjamin Frannklin. Adams non gradiva affatto questo sostegno, preferendo una posizione super partes degli Stati Uniti rispetto alle faide europee. Reclamando uno sforzo militare maggiore entrò in conflitto anche con re Luigi XVI. Rientrato in America fu mandato a Londra come ambasciatore, ruolo delicatissimo vista la secessione ancora fresca delle ex colonie. Non riuscì a portare a casa nessun risultato ma, subito dopo, si spostò in Olanda, ottenendo un prestito importante per il suo paese e un trattato per il commercio. La lunga e faticosa tessitura diplomatica proseguì al fianco di Franklin, in Francia, dove nel 1783, con il Trattato di Parigi, fu posta la parola fine alla guerra con il Regno Unito, che sancì in modo definitivo il riconoscimento dell’indipendenza americana.

Seguirono quattro anni di attività diplomatica, come ambasciatore a Londra, con la moglie Abigail che lo raggiunse. In quegli anni Adams scrisse un trattato, pubblicato nel 1788, dove esponeva le sue idee politiche:  Defense of constitution of the government of United States. 

Rientrato in patria viene eletto vicepresidente, con George Washington sullo scranno più alto della nuova repubblica. Otto anni non facili per Adams, per i crescenti contrasti con il presidente e la sua difficoltà nel tenere a freno le proprie convinzioni politiche. Gli scontri nel governo furono aspri fin da subito. Adams si schierò con i Federalisti (capeggiati da Alexander Hamilton), che propugnavano la creazione di un governo centrale forte e una politica economica protezionista. Dall’altra parte della barricata c’era Thomas Jefferson, segretario di Stato, che con il suo Partito Democratico-Repubblicano si batteva per l’indipendenza dei singoli stati, la poca ingerenza da parte del governo centrale e l’assoluto primato, a livello economico, dei piccoli proprietari fondiari.

Washington rifiutò di candidarsi per un terzo mandato e Adams, sfidando il suo amico-rivale Jefferson, nel 1796 divenne presidente. Per il sistema elettorale vigente, che intendeva favorire la coabitazione al governo di forze politiche diverse, Jefferson, secondo classificato, fu eletto vicepresidente. Furono anni molto difficili per Adams, che ebbe non pochi scontri con quasi tutte le personalità politiche più eminenti del Paese. Sfiorata una guerra con la Francia, Adams fece approvare delle leggi fortemente restrittive delle libertà degli stranieri, oltre ad altri provvedimenti divisivi, contraddistinti da una visione al limite dell’autoritarismo. Alle elezioni del 1800 Adams e il suo Partito federalista furono sconfitti. Il potere passò nelle mani di Jefferson.

Adams si ritirò a vita privata nella sua casa di campagna di Quincy (Massachusetts). Visse sereno, circondato da figli e nipoti, anche se tormentato dalla voglia di rivalsa e dalla necessità di affermare le proprie ragioni politiche. Una delle sue gioie più grandi, dopo i lutti per la morte di una figlia e dell’amata consorte Abigail, arrivò quando suo figlio, John Quincy Adams, fu eletto presidente degli Stati Uniti (il sesto presidente). Furono elezioni particolari quelle del novembre 1824. Nessuno dei candidati, Adams, Andrew Jackson, William H. Crawford ed Henrt Clay, ottenne la richiesta maggioranza assoluta dei grandi elettori. Toccò alla Camera dei Rappresentanti, come previsto dal XII emendamento, il compito di scegliere il presidente. Scelta che cadde su John Quincy Adams. Il primo e unico, nella storia degli Stati Uniti, a essere eletto dai deputati.

Gli amici-nemici, Adams e Jefferson, ebbero modo di chiarirsi e riscoprire ciò che all’inizio li aveva fortemente uniti, nella stima reciproca, attraverso un intenso scambio epistolare che durò ben quattordici anni, gli ultimi della loro vita. Non si rividero più ma si fecero forza l’un l’altro, fino alla fine. Adams, ormai giunto al termine della propria esistenza terrena, dal suo letto ebbe a dire: “Ecco io muoio e Thomas sopravvive”. Non poteva sapere che il suo amico lo aveva preceduto di alcuni minuti.

 

Libro consigliato:

Friends Divided: John Adams and Thomas Jefferson Kindle Edition

 

 

 

 

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