Se l’è cavata egregiamente come governatrice della South Carolina (dal 2005 al 2011), ha pronunciato il controdiscorso alla nazione dei Repubblicani in risposta a quello del presidente Obama nel 2016, per due anni ha rappresentato gli Stati Uniti alle Nazioni Unite. Nikki Haley, 52 anni il 20 gennaio, vero nome Nimrata Randhawa, nel febbraio dell’anno scorso ha annunciato di voler correre alle primarie del Grand Old Party per cercare di conquistare la nomination in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Impresa ardua, visto che Donald Trump è strafavorito secondo tutti i sondaggi. Sfida da rispettare e apprezzare. Ma pochi giorni dall’inizio delle primarie (15 gennaio in Iowa), Donald Trump sgancia la bomba: “Haley, figlia di indiani, non può candidarsi“. Poi spiega perché: sarebbe nata quando i suoi genitori, immigrati dall’India, non erano ancora diventati cittadini americani. L’accusa inoltre di essere una “globalista” e di non avere una linea ferma sull’immigrazione. Nonostante queste pesanti bordate Haley sta crescendo nei sondaggi (anche se rimane distante da Trump), basti pensare che in New Hampshire, seconda tappa delle primarie, è già al secondo posto, avendo superato il governatore della Florida Ron DeSantis.

Non sappiamo se l’accusa (sulla cittadinanza) sia fondata o meno. Lo scopriremo. Nikki Haley incarna comunque lo spirito americano. Figlia di indiani Sikh, provenienti dal Punjab, padre professore universitario e madre insegnante (poi titolare di un’azienda di abbigliamento), è nata a Bamberg (South Carolina) e fin da piccola ha dimostrato buone qualità a scuola. Si è fatta valere negli studi, nel lavoro e in politica.

Dopo la laurea in Scienze contabili lavora per un’azienda di gestione dei rifiuti (FCR Corporation) e in seguito inizia a collaborare con l’attività di abbigliamento di famiglia, avviata da sua madre, l’Exotica International, diventandone poi direttrice amministrativa. Si fa strada nell’associazionismo, prima entrando nel board della camera di commercio della sua contea, Orangeburg, poi in quella di Lexington, infine presidente dell’associazione nazionale delle donne imprenditrici.

L’ingresso in politica a 32 anni, quando corre per la Camera dei rappresentanti della South Carolina, sfidando alle primarie un pezzo grosso del partito repubblicano, il deputato in carica della sua contea (Lexington), Larry Koon. Vanno al ballottaggio e lei lo vince (55%-45%) e in seguito conquista il seggio alla Camera. Tra i suoi cavalli di battaglia meno tasse ai proprietari di immobili e la riforma dell’istruzione. Viene confermata due volte, restando in carica dal 2005 al 2011. Dopo fa un grande salto, si candida e viene eletta governatrice dello Stato. Abbassa le tasse e attira nuovi imprenditori, facendo parlare di sé per questa promessa che rivolge loro: “Se venite in Carolina del Sud, il costo per fare impresa qui sarà basso. Ci assicureremo che abbiate una forza lavoro leale e disponibile e saremo uno degli Stati a più bassa partecipazione sindacale del paese”.

Nel 2012 Mitt Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca, la vorrebbe con sé nel ticket presidenziale, come vice, ma lei rifiuta, dicendo di voler restare a fare la governatrice. Nel 2016 inizialmente è fredda (e critica) nei confronti di Trump, e sostiene prima Marco Rubio e poi Ted Cruz. Trump è un rullo compressore e, uno dopo l’altro, elimina tutti. Haley si rassegna e dichiara che avrebbe votato per Trump alle presidenziali, pur non essendo una sua sostenitrice. Il neo presidente la vorrebbe nel suo gabinetto, come segretaria di Stato, ma lei rifiuta (così ha raccontato Trump). La nomina, invece, ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, dove resta in carica per due anni (27 gennaio 2017-31 dicembre 2018). Nel Palazzo di Vetro se la cava: mantiene una linea ferma nei confronti della Russia dopo le sanzioni per l’occupazione della Crimea, e prende le distanze dalla linea obamiana volta a destituire Assad dalla guida della Siria. Fermezza senza esitazioni nei confronti dell’Iran e della Corea del Nord. Il rapporto con Trump si incrina quando Haley critica apertamente il muslim ban (il bando per impedire l’ingresso negli Usa dei cittadini provenienti da alcuni paesi a maggioranza musulmana). Haley lascia

Più tardi, soffermandosi sui fatti del 6 gennaio 2021 (assalto al Congresso Usa), prende le distanze da Trump: “Dobbiamo riconoscere che ci ha deluso, ha preso una strada che non doveva prendere e sulla quale non dovevamo seguirlo. Non avremmo dovuto ascoltarlo e non possiamo permettere che questo accada di nuovo”. Il mese prima dell’assalto commentando le accuse dei brogli nelle elezioni presidenziali Haley dichiarò: “Comprendo il presidente, comprendo che veramente, nel profondo, pensa di aver subito un torto, non lo sta inventando”. Un cambio di giudizio, in poche settimane, che forse può dare adito all’accusa di ambiguità, o semplicemente opportunismo. Cosa pensava/pensa davvero Haley?

Di Trump oggi pensa questo: “Con lui avremo altri quattro anni di caos e non possiamo permettercelo”, ha detto chiudendo il dibattito in tv organizzato dalla Cnn. Non poteva e non può dire diversamente, visto che le primarie sono un ring itinerante dove gli sfidanti sono chiamati a colpirsi duramente per restare in piedi. Usare il fioretto non porta alcun risultato. La clava usata da Trump nel 2016 insegna.

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