Lo aveva promesso, mettendo sul tavolo la sua poltrona: “Se non passano gli aiuti all’Ucraina mi dimetto”. Alla fine il provvedimento è passato e lo speaker della Camera degli Stati Uniti , il repubblicano Mike Johnson, ha portato a casa il risultato e mantenuto la parola. La Camera ha approvato un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, con quasi 61 miliardi di dollari di finanziamento. Lo stallo, durato un anno e mezzo, è stato sbloccato con 311 sì e 112 no. Democratici compatti a sostegno del provvedimento, mentre nel fronte repubblicano hanno votato sì 101 su 213 deputati.

Vittoria dell’ala moderata del Gop, dopo mesi e mesi di tira e molla che, di fatto, avevano bloccato i fondi. Premiato il grande lavoro di Johnson, che si è speso in prima persona per mettere al voto in tempi rapidi il provvedimento, tessendo una tela tra democratici e repubblicani. Impresa tutt’altro che facile di questi tempi.  Il fronte più duro del Gop, che in passato aveva minacciato di rimuovere Johnson da speaker se avesse insistito su questa linea, ha fatto marcia indietro e Trump stesso si è ammorbidito dando il via libera a Johnson.

Ora manca il voto finale del Senato e la firma del presidente Biden. Il Pentagono intende mandare armi il prima possibile in Ucraina, puntando sul fatto che gli armamenti da inviare a Kiev (nuovi sistemi di artiglieria e Patriot) si trovano già nei magazzini dislocati in Europa, in particolare in Polonia, pertanto in tempi molto rapidi potrebbero essere trasferiti in Ucraina.

 

Quali effetti potrebbe avere la mossa di Johnson all’interno del mondo repubblicano? È ancora presto per dirlo. Paolo Mieli sul Corriere della sera ipotizza che in caso di vittoria di Trump, il prossimo novembre, le cose per lo speaker della camera potranno mettersi male. Ma il cambio alla guida della Camera potrebbe avvenire ancor prima, senza attendere le presidenziali. Proprio per questo vanno sottolineati l’impegno e il coraggio di Johnson, che non a caso dopo aver impresso la svolta decisiva allo sblocco dei fondi per l’Ucraina si è subito trovato nel mirino delle frange più estreme del Gop, con in testa Marjorie Taylor Greene e Lauren Boebert. Mieli sottolinea il ponte ideale (ancorché momentaneo) che Johnson è riuscito costruire tra Biden e Trump, in un frangente della storia assai difficile e insidioso. Potrebbe costargli cara questa pervicacia, ma intanto produrrà effetti.

Le reazioni di Ucraina e Russia

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso così la propria soddisfazione per il voto: “Sono grato alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, a entrambi i partiti e personalmente al presidente Mike Johnson per la decisione che mantiene la storia sulla strada giusta», ha commentato a caldo Volodymyr Zelensky. «La democrazia e la libertà avranno sempre un significato globale e non verranno mai meno finché l’America contribuirà a proteggerle. Il vitale disegno di legge sugli aiuti Usa impedirà alla guerra di espandersi e salverà migliaia e migliaia di vite”.

Profondo nervosismo, invece, dalla Russia, come del resto era ampiamente prevedibile: “Gli aiuti militari degli Stati Uniti all’Ucraina, a Israele e a Taiwan – ha detto Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri – aggraveranno le crisi globali: gli aiuti al regime di Kiev sono una sponsorizzazione diretta delle attività terroristiche, quelli a Taiwan sono un’interferenza negli affari interni della Cina, quelli a Israele sono una strada diretta verso l’escalation nella regione”.

Gli altri aiuti stanziati

Il testo sull’Ucraina dà il via libera al governo Usa di confiscare e vendere i beni russi e fornire aiuti a Kiev per la ricostruzione, come sostenuto anche da altri Paesi del G7. Nel pacchetto di aiuti vi sono fondi anche per Israele, 26 miliardi di dollari (tra cui quasi 14 miliardi in aiuti militari), al fine di rafforzare il sistema di difesa aerea Iron Dome. Nove miliardi per l’assistenza umanitaria per Gaza e altre popolazioni vulnerabili in tutto il mondo. Alcuni miliardi di dollari, invece, vanno a Taiwan (per gli armamenti) e per finanziare la misura con cui Washington intende vietare TikTok negli Usa nel caso in cui non tagli i suoi legami con la Cina.

 

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