Quindi a forza d’impastare e di mattarellare, habemus il nuovo Governo targato Paolo Gentiloni, deputato dal 2001, già ministro con Prodi e Renzi, già portavoce di Francesco Rutelli in Campidoglio, già esponente della sinistra extraparlamentare di ispirazione maoista come giustamente ci si aspetta dal discendente di una casata di nobile lignaggio, i conti Gentiloni Silveri, nobili di Filottrano, Cingoli e Macerata.

Paolo Gentiloni

Paolo Gentiloni

Quindi Maria Elena Boschi è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, la stessa che a fine maggio 2016 a Rai Tre da Lucia Annunziata pronunciava il suo famoso “Se vince il No? Lascio la politica”. Parole chiarissime ed incontrovertibili: “Anche io lascio se Renzi se ne va: ci assumiamo insieme la responsabilità”.

Un caso da studiare, quello della Fata Turchina di Laterina: pur essendo quella uscita peggio dal voto referendario, pare abbia fatto il diavolo a quattro per essere non solo riconfermata ma addirittura promossa. Pensate se avesse vinto il Sì, avremmo forse avuto lady Boschi imperatrice di tutte le galassie? La principessa Leila del Valdarno.
Per farle posto in un Governo che, coerentemente con il responso delle urne avrebbe dovuto essere “leggero”, snello e ridotto all’osso, per tornare al voto in tempi brevi, si sono invece riesuamati due vecchi ministeri, uno per il fedelissimo scudiero Luca Lotti (Sport) e l’ altro per Claudio De Vincenti (Coesione Territoriale e del Mezzogiorno).
Et voilà la ribollita toscana è servita.


Quindi, non contenti di ciò, senza vergogna e pudore alcuno, in sprezzo di ogni logica, il prossimo Ministro degli Esteri è colui che da Ministro dell’Interno ha causato un incidente diplomatico col Kazakistan per il caso Shalabayeva, nonché uno dei principali artefici delle fallimentari politiche sull’immigrazione: il perdente di successo Angelino Alfano. L’uomo che vale lo 0,2% di consensi reali nel paese è colui che materialmente preparerà l’agenda del G8. Da brividi.
Quindi il nuovo Ministro dell’Istruzione è una sindacalista con quasi quarant’anni di carriera nella Cgil (dove non si occupava di scuola) ma che in compenso si autodefinisce “femminista riformista e di sinistra”. Chissà che ne pensano le femministe che con tanto orgoglio rivendicano il loro essere “femmine” del fatto che il neo ministro Valeria Fedeli sia la prima firmataria di un ddl con cui si richiede “l’introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle scuole e nelle università”. In parole povere del gender, o ideologia dell’identità sessuale fluida che dir si voglia.

Valeria Fedeli

Valeria Fedeli

Quindi il Ministro del Lavoro continua ad essere Giuliano Poletti, già presidente di LegaCoop, quello del successone dei vari Job Act, Garanzia Giovani e dei voucher che tanto hanno entusiasmato i giovani italiani da indurli a votare in massa NO al referendum di domenica scorsa.
Quindi Ministro della Salute continua ad essere Beatrice Lorenzin, quella della simpatica campagna Fertility Day, così apprezzata ed elogiata da urbi et orbi.
Quindi abbiamo ancora nella compagine governativa la Venere botticelliana Marianna Madia, colei che passerà alla storia per aver candidamente affermato all’epoca della sua prima elezione a Montecitorio: “Porterò in Parlamento tutta la mia inesperienza”, e si è ben visto dato che la sua riforma della Pubblica Amministrazione è stata bocciata dalla Consulta. Chapeau e onore al merito.

Tutto ciò mentre il segretario del PD, Matteo Renzi, interpreta con pathos stucchevole la pantomima dell’uomo senza lavoro che torna nel borgo natio dalla famiglia con gli scatoloni per rimboccare le copertine ai figli, con i quali dovrà condividere nella casetta di Pontassieve l’uso della taverna, suo nuovo ufficio dopo quello di Palazzo Chigi.

Aiuto, mi sta scendendo la lacrimuccia…
C’è mai qualcuno che paga il conto delle sconfitte in Italia? Non chiediamo tanto, ma almeno abbiate pietà di noi e non prendeteci in giro.

 

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