Unicredit sconta la sua «italianità». Non è un fatto nuovo, come tutte le banche del nostro Paese è stata fortemente penalizzata in Borsa negli ultimi due anni per la scelta di investire nei Btp e anche perché esposta a un mercato in evidente recessione. La maggior parte degli asset ponderati per rischio del gruppo (il 26%) è proprio in Italia.

La cura-Monti, fatta di tante tasse e pochi tagli, rischia di peggiorare la situazione proprio quando il piano elaborato dall’ad Federico Ghizzoni l’anno scorso dovrebbe dare i suoi migliori frutti. Secondo gli analisti di Barclays, infatti, l’attività di banca commerciale in Italia può raggiungere un buon livello di profittabilità – dopo gli ultimi due trimestri poco esaltanti – e avvicinarsi al traguardo di un Roe al 12%. Ma per centrare l’obiettivo sarà necessario diminuire il costo del credito, cioè la copertura aggiuntiva necessaria per evitare il rischio di default di mutui e finanziamenti concessi a famiglie e piccole e medie imprese.

Stessa solfa anche per la divisione Corporate (prestiti alle grandi imprese). In questo caso la mina delle svalutazioni sui crediti per Barclays può essere disinnescata solo in un modo: tagliando il credito (politica che non è nei piani di Piazza Cordusio) perché i margini di risparmio sono più ristretti rispetto al settore Retail che ha sempre la leva dei prezzi e il taglio dei costi da utilizzare in ultima istanza.

Ecco perché Barclays ha ridotto le stime di utili di Unicredit per il 2013 e per il 2014 rispettivamente del 20 e del 12% pur mantenendo il rating equal-weight (non aumentare l’esposizione in portafoglio) con un  target price a 3,25 euro. Senza una ripresa del pil italiano, Barclays preferisce non rischiare.

Grazie, professor Monti!

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