Per ricostruire l’Italia dalle macerie lasciate dalla crisi e dal governo Monti serve un «visionario, un leader capace di vedere il futuro e che sappia rendere questo futuro tangibile alle persone». A dirlo è Giampaolo Rossi, direttore generale di Adexia ed esperto di formazione di executive team aziendali, che giudica Silvio Berlusconi «un leader straordinario». All’Italia «occorre un piano pluriennale pensato per trasferire alle persone la consapevolezza che ci si è avviati sulla strada della ripresa e di motivarle a contribuire a questo cambiamento»,  precisa Rossi, con cui proseguiamo la galleria di interviste sul riscatto del nostro Paese avviata con Marianna Vintiadis, numero uno del colosso delle investigazioni Krolle con l’architetto-designer Giulio CeppiUna cosa comunque appare certa, sebbene il «Decreto del fare» sia un buon inizio, il governo Letta deve mandare in soffitta  l’austerity che ci già è costata 230 miliardi di mancata crescita, e fare in modo che i cittadini smettano di nascondere 333 miliardi sotto al cuscino per evitare la morsa del Fisco. Perché, in caso di insuccesso, potrebbe rimanere soltanto la tentazione delle banche americane di rottamare Parlamento e articolo 18

 

I nostri politici e i grandi capitani d’azienda hanno le capacità necessarie per trascinare l’Italia fuori dalla recessione?

«La mancanza di visione è proprio l’aspetto in cui la politica e l’impresa peccano in questo momento epocale. Nessuno si immagina come sarà il Paese tra cinque anni e riesce quindi a costruire un clima di fiducia su un piano operativo pluriennale. C’è una forte concentrazione sugli aspetti tattici di brevissimo periodo che rischiano di generare stanchezza, mancanza di fiducia e prospettiva».

 

Come si costruisce un leader? 

«Essere un leader in questo periodo è particolarmente complesso e difficile ed è statisticamente improbabile che una persona nasca con tutte le capacità per essere un leader eccellente. In aggiunta molti strumenti di guida delle risorse che funzionavano fino a pochi anni fa ora non hanno la stessa efficacia».

 

Quali sono veri leader oggi in Italia?

«I veri leader oggi sono quegli imprenditori che nonostante tutto, e questo tutto è molto grande, riescono a portare avanti le proprie aziende, riescono ad interpretare meglio degli altri i cambiamenti e riescono a costruire progetti vincenti per il futuro. Tutto questo motivando i collaboratori a dare il meglio di se».

 

Come si riconoscono quelli emergenti che lo saranno domani?

«Sono quelli che hanno una forte identità valoriale, sanno comunicare in maniera coinvolgente e semplice e sanno sedurre nel senso latino del termine:“se ducere” ovvero portare verso di se gli altri».

 

Quanto sono leader Silvio Berlusconi e Matteo Renzi?

«Berlusconi è un leader straordinario, lo dimostrano i risultati. Renzi ne ha le potenzialità e vedremo nel prossimo futuro se riuscirà ad esprimerle. Berlusconi fonda la propria leadership su un carisma eccezionale, tanto che le persone credono in lui indipendentemente da tutto. Renzi si è ispirato ad Obama che probabilmente oggi è la persona con la leadership più forte a livello mondiale. In comune hanno la capacità di comunicare in maniera visiva, semplice e accattivante».

 

Enrico Letta ha la stoffa necessaria per stupire il Paese o è troppo “prodiano”?

«Decisamente troppo prodiano. Nonostante sia giovane ha un modo di comunicare vecchio e statico. Potrebbe essere un ottimo ministro o un premier di transizione. Attualmente non ha le caratteristiche per guidare un partito o un governo per lungo tempo».

 

Beppe Grillo sta cacciando molti esponenti del suo movimento. Ci sarà presto una diaspora o ha la forza di guidare i suoi deputati e senatori?

«Grillo ha costruito il suo movimento su una contraddizione: vuole combattere un sistema di potere partendo dalla base, ma questa stessa deve essere guidata da un sistema di potere che dipende da lui. Più forte sarà il suo esercizio di potere, più forte emergerà questa contraddizione e sarà più facile una o più separazioni all’interno del movimento».

 

Passiamo al mondo delle aziende, quanto è leader Sergio Marchionne? Il suo stile sarebbe applicabile in politica?

«Più che un leader Marchionne è un ottimo manager, che sta riuscendo bene nel mandato che la famiglia Agnelli gli ha dato. La caratteristica manageriale che più lo rappresenta è la capacità negoziale. Tutte le volte, infatti, che si è trovato di fronte ad una controparte è sempre riuscito ad uscirne con il massimo vantaggio, senza concedere nulla. E’ successo con la General Motors, con l’acquisto della Chrysler, con il governo americano e con i sindacati italiani. Lo stile Marchionne non può essere applicato alla politica perché la politica vive di mediazione, compromessi e ricerca del consenso che sono aspetti estranei al manager Italo-canadese».

 

Che cosa ne pensa del seguito che riscuote  Mario Balotelli?

«Balotelli fa parte di quel fenomeno che include i divi belli, di successo ma anche un po’ dannati e autodistruttivi come le rockstar e alcuni attori del cinema. Hanno una forte capacità attrattiva sia per il pubblico che per i media che ne potenziano l’effetto. Balotelli è un fenomeno mediatico mondiale che ormai è tracimato dal mondo del calcio per entrare in quello del costume. Deve stare attento a gestire la propria immagine sia perché vive sotto una lente di ingrandimento enorme sia perché è un modello per i ragazzi».

 

La leadership è innata oppure si acquisisce con uno specifico percorso formativo? 

«Leader si diventa con un percorso di crescita che si può sviluppare attraverso tre direttrici: rilettura della propria esperienza, catturare gli esempi efficaci che si incontrano nella vita professionale o politica “rubando” il mestiere ad altri leader e costruzione di un percorso di crescita attraverso dei corsi di formazione di leadership, public speaking, gestione dei collaboratori e negoziazione».

 

Sono verosimili quelle rappresentazioni ironiche secondo cui il vero leader è quello che lavora insieme al proprio team per raggiungere un obiettivo piuttosto che impartire comandi a bacchetta, pretendendo sforzi sovrumani da parte dei sottoposti?

«Le teorie più moderne della leadership prescrivono che il leader debba saper cambiare atteggiamento e modalità di interazione con i propri collaboratori in base al contesto e alle  persone che si trova di fronte. Deve quindi aver la capacità di mettersi alla pari dei propri collaboratori in situazioni di problem solving dove gli serve il contributo di pensiero di altre persone. Deve, per contro,  essere autoritario e impartire comandi con decisione in situazioni di pericolo e/o emergenza. Infatti in queste situazioni i collaboratori hanno bisogno di avere una guida decisa che li porti fuori dalla situazione critica con forza».

 

I termini «leader» e «leadership» hanno sconfinato dall’ambito prettamente sociologico-morale, acquistando una sempre maggiore importanza sia nel mondo economico-finanziario sia in quello politico. Ma in economia chi è veramente leader? Colui che dispone di capitali e gestisce le operazioni in prima persona di conseguenza? Oppure il manager che amministra e si prefigge obiettivi via via più ambiziosi?

«Effettivamente il termine leadership è inflazionato e allo stesso tempo sintetizza un argomento complesso, basti pensare che se si cerca su Amazon un libro in italiano sulla leadership vengono proposti più di 19.000 titoli. Per dare un senso al termine leader basta guardare l’etimologia della parola che deriva dal verbo inglese “to lead”, guidare. Il leader è la persona che ha la capacità di guidare altre persone, diventandone il riferimento e il modello indipendentemente dal suo ruolo di imprenditore, manager o finanziere».

 

Lei analizza la comunicazione dei leader. Quali sono le parole chiave della leadership? E, soprattutto, è vero che l’uso di concetti semplici e facilmente comprensibili rende più facile scalare le gerarchie rispetto a chi fa uso di tecnicismi? Oppure è vero il contrario e sono i «paroloni» a creare soggezione e a scavare un solco tra chi ne conosce il significato e chi invece lo ignora?

«Esprimere concetti complessi con semplicità è molto difficile ed è una caratteristica di esercizio eccellente della leadership. I paroloni spesso sono una corazza per difendere la propria insicurezza e la mancanza di idee chiare. Più che parole chiave della leadership parlerei di comunicazione semplice, attraverso esempi e metafore e grande capacità di parlare per immagini. Altro elemento che caratterizza la comunicazione del leader è l’assenza di frasi dubitative quando parla in pubblico ed un utilizzo limitato delle negazioni per concentrarsi su temi positivi».

 

Il training dei manager è sempre oggetto di sarcasmo: dal camminare sui carboni ardenti adesso si è passati alla realizzazione di lavori di gruppo (dalla recitazione alla cucina alla creazione di un’opera d’arte). Ma è proprio necessario questo «supplizio» per dimostrare che si è capaci di confrontarsi con l’alterità?

«L’outdoor training e la formazione esperienziale sono di moda e quindi si è sviluppata un’offerta formativa enorme sul mercato che spesso non è altamente professionalizzata. La formazione comportamentale che si sviluppa attraverso l’utilizzo della metafora come lo sport e l’arte è utile perché elimina la posizione di rendita del partecipante relativamente al ruolo e alle competenze professionali concentrando le attività sulle dinamiche di relazione che sono poi mutuabili all’attività professionale. È necessario però che sia selezionato un formatore particolarmente bravo che riconduca l’esperienza apparentemente lontana all’attività professionale a comportamenti organizzativi e strumenti di lavoro».

 

La padronanza delle nuove tecnologie crea di per sé un leader?

«La tecnologia è uno strumento che da solo non crea né innovazione né miglioramenti organizzativi e tanto meno leadership. Tutto dipende da come si usa. Conosco diversi grandi leader che non hanno lo smartphone e il tablet».

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