Delle mirabilie al contrario del decreto di riforma della pubblica amministrazione varato dal premier Matteo Renzi e dal ministro Marianna Madia, il Giornale vi ha già raccontato nelle scorse settimane. Oggi Wall & Street vogliono soffermarsi su una particolarità contenuta nel disegno di legge di riforma che seguirà un iter diverso e più lungo, ma non per questo meno foriero di cattive sorprese.

In primo luogo, la bozza prospetta la  creazione di un ruolo unico della dirigenza degli enti locali che vedrà confluire nello stesso, oltre ai segretari comunali e provinciali – professionisti del settore e vincitori di pubbliche selezioni – anche i direttori generali, ovvero soggetti assunti senza concorso in virtù di contratti ottenuti da sindaci e presidenti di provincia negli ultimi cinque anni. Tutti con la nuova denominazione di «dirigenti apicali». Ai segretari si darebbe tuttavia la possibilità di una onorevole fuga consentendo loro di uscire dal ruolo, optando preventivamente per la mobilità presso enti locali.

Una pattuglia di varia estrazione, da manager privati a politici trombati, sarebbe così arruolata in un ruolo delicato di gestione e di controllo della legalità dell’azione amministrativa, senza tener conto del merito. Ma non finisce qui:  il governo poi intende garantire ai sindaci dei capoluoghi di provincia, ai nuovi presidenti di Provincia (sindaci anch’essi in base alla riforma Delrio) e ai futuri sindaci delle Città metropolitane, di poter scegliere il proprio dirigente apicale anche al di fuori del suddetto ruolo unico, tra persone che abbiano medesima competenza e tramite una selezione (in pratica nominando amici pronti a tutto) laddove non vi fosse, nel un nome adatto. Le bozze in circolazione fino a poco tempo fa prevedevano inoltre che il dirigente apicale possa essere “licenziato” dal sindaco o presidente di Provincia, in caso di inosservanza  delle direttive o mancato raggiungimento degli obiettivi. Si tratta, ovvero, di uno spoil system ancora più selvaggio di quello che oggi già riguarda i segretari comunali.

Come già emerso alla fine del 2013,  il sottosegretario Graziano Delrio e il segretario generale della Presidenza del Consiglio (nonché suo ex direttore generale al Comune di Reggio Emilia), Mauro Bonaretti, sostenuti da un gruppo di sindaci del Pd, soprattutto del Nord, stanno conducendo da tempo una battaglia per imporre i direttori generali nei Comuni, sostenendo che i segretari comunali sarebbero inutili, desueti e quindi uno spreco. Bonaretti è presidente di Andigel, associazione dei direttori generali degli enti locali, dunque in pieno conflitto d’interessi.

Insomma si passa dagli  «sgraditi» segretari comunali al direttore  generale di “fiducia”: una scelta controversa in tempi di spending review, ma sul 40,8% guadagnato alle Europee il Pd sta lucrando per estendere ancor di più il proprio controllo su tutti gli enti locali (circostanza da non sottovalutare in tempi di riforme istituzionali). Una prassi alla quale Renzi è abituato, avendo ricevuto una condanna in primo grado dalla Corte dei Conti per danno erariale in quanto, durante la presidenza della Provincia di Firenze, ha nominato ben quattro direttori generali sprovvisti dei titoli. Una macchia che avrebbe cercato di cancellare ora che è a Palazzo Chigi.

Wall & Street

Tag: , , , , , , , , , , , , ,