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Molti italiani quando hanno bisogno di un farmaco sono indecisi, soprattutto se è tra quelli da pagare per intero perché non previsto dal Servizio sanitario nazionale (Ssn),  se optare per quello di marca o piuttosto per il più economico “generico”. Scatola anonima, in bellavista il nome scientifico del medicinale e non quello commerciale che il martello della pubblicità ci ha conficcato nei timpani, ma medesima composizione chimica e quindi efficacia di quello con il blasone. Così deve essere per legge.

Resta quindi da chiedersi come sia composto il prezzo di un farmaco e quindi in ultima analisi se il suo prezzo al banco del farmacista sia giustificato: dagli investimenti per la ricerca e dalle spese di marketing fino al profitto che comunque qualsiasi gruppo privato (colossi del contestato Big Pharma compreso) devono puntare a raggiungere per svilupparsi. pagare gli stipendi e staccare i dividendi per gli azionisti, tra cui ci sono anche i fondi di investimento o i fondi pensione dove ognuno di noi è libero di collocare i propri risparmi con la pretesa di averne appunto ancora una volta un guadagno.

In base a una ricerca curata dall’ufficio studi del Monte Paschi, i costi di ricerca e sviluppo uniti ai contributi all’importazione pesano per circa il 40% del totale: 40 centesimi per ogni singolo euro che tiriamo fuori dal portamonete. Il resto, 60%, va invece nelle tasche dei grossisti, dei farmacisti e dello Stato sotto forma di tasse.

Di certo, comunque, il mercato farmaceutico mondiale è fiorente: negli ultimi dieci anni è raddoppiato nel giro d’affari superando per la prima volta nel 2014  la soglia psicologica dei 1.000 miliardi di dollari come vendite nel mondo. Una montagna di quattrini, ma è anche vero che la sola Apple, grazie agli iPhone che riesce a vendere urbis et orbis,  ne capitalizza oltre 700 miliardi e ne ha più di 30 liquidi. Quanto all’Italia, nonostante la crisi, nel 2013 il farmaceutico è cresciuto di poco meno del 6% e il  72% dell’intera produzione è stato destinato all’esportazione.

Gli analisti dei Mps sfatano il luogo comune che la spesa sanitaria sia elevata: rappresenta il 9% del Pil contro il 12% della media europea e il 17% negli Stati Uniti. Senza contare che il pil italiano è in partenza risicato o al massimo non è più di un pasticcino se paragonato alla forza economica d’Oltreoceano. Anche il confronto internazionale dei prezzi dei farmaci mette in rilievo come quelli praticati in Italia non siano elevati rispetto alla media estera: sono il 14,6% più bassi rispetto alla media europea. Sembra poi, peraltro,  che i  costi sostenuti dalle aziende farmaceutiche per completare il processo di approvazione dei farmaci sono aumentati del 145% negli ultimi 10 anni: per tasso medio di crescita composto annuo dell’8,5%.

Come accennato però gli affari al Big Pharma vanno a gonfie vele ed esuberante è stata la crescita del settore  distributivo: l’indice Mps-Phd, calcolato dagli analisti della banca senese sulla base dei prezzi di Borsa delle principali aziende di distribuzione a livello mondiale, è triplicato nel periodo 2011- 2015 ed è aumentato del 36% solamente durante il 2014. Molto importante è anche la capillarità della distribuzione farmaceutica in tutta Europa, dove sono presenti oltre centomila farmacie: nella sola Italia sono oltre 18 mila.

Tema delicato è quello della distribuzione parallela, attività che viene da molti ritenuta responsabile della scarsità di alcuni farmaci molto importanti in Italia. Nel nostro Paese infatti vengono acquistati e rivenduti da operatori su altri mercati nei quali i prezzi degli stessi farmaci sono più elevati.

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