«Oggi la maggior parte delle persone che in qualche maniera si esibisce sui social cerca di essere un brand di se stesso e già da anni spopolano anche corsi online, in presenza, libri e manuali su quello che è il personal brand. proprio per insegnare come essere. Cè chi diventa brand di se stesso perché deve pubblicizzare o commercializzare un prodotto oppure chi lo fa per semplice visibilità». Elisa Rovesta, analista degli stili umani, spiega così nell’ultima puntata di «Wall & Street Live» il personal branding, una tendenza sempre più in auge.

Uno degli esempi della narrazione di Rovesta è Madonna. Noi conosciamo l’immagine, l’icona della Madonna.cantante, della Madonna-personaggio a fronte di una realtà personale che sicuramente è molto diversa. La brandizzazione nel campo dell’arte, della musica, effettivamente è una cifra di questa tendenza. Però diciamo che si può creare una discrasia fra ciò che vediamo e poi quello che è la persona in carne e ossa. «Potevo citare Andy Warhol o lo stesso D’Annunzio, un esempio di personal brand estremo. Per quanto riguarda gli artisti penso sia un discorso a parte, loro legano il loro personaggio a un’espressione artistica e ovviamente una canzone di Madonna non può essere dissociata da chi la canta, dal personaggio Madonna, Io tendo a riferirmi alle persone “normali” come potrei essere io, ad esempio, che o con un utilizzo di social o comunque aiutati molto dalla tecnologia veicolano un’immagine che è il prodotto proprio di uno studio e di una volontà di apparire in un certo modo. E faccio riferimento soprattutto a quello che è il mondo aziendale, dove il brand ha un’importanza legata a un prodotto oppure a un servizio che può offrire un’azienda, ma è tutto un altro discorso e quindi è come se ci si fosse un po’ industrializzati anche noi persone, noi esseri umani».

Ma se il il mezzo è il messaggio, come diceva McLuhan, il rischio è che ci parli lo stesso personaggio, senza dirci nulla tranne che l’affermazione di se stesso e quando il personaggio viene meno crolla un po’ tutto (non diciamo Chiara Ferragni ma un concetto tipo Chiara Ferragni rende bene l’idea). Secondo Rovesta, «c’è stata un’estremizzazione e un’autoreferenzialità nell’utilizzo del personal brand, molto spesso fine a se stessa, non per veicolare un prodotto oppure anche semplicemente un pensiero, ma proprio per esibire il proprio sé in maniera abbastanza sterile». Alla fine, resta un interrogativo: «Come può una persona incarnare quello che può essere un personaggio deciso a tavolino?». È una bella domanda cui il mondo del marketing non sempre ha voglia di rispondere. Potrebbe venir fuori che il re è nudo.

Gian Maria De Francesco

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