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Se ieri abbiamo indirizzato parole ispide nei confronti della massima carica dello Stato, a nostro mite avviso vile nell’appecoronarsi a imperativi sovranazionali, oggi dobbiamo fare presta ammenda. Resosi conto di aver lanciato un messaggio velatamente antidemocratico al Paese, di aver insinuato il sospetto nella cittadinanza che il suffragio universale stia alla direzione della Cosa pubblica come il bambino sta alla guida dell’auto di papà mentre siede sulla sue ginocchia, di aver castrato i rigurgiti anti-austerità, anti-establishment e gli slanci verso una ritrovata sovranità e una agognata prosperità da parte degli elettori, il Presidente della Repubblica ha dato prova di tempestivo ravvedimento, di lungimiranza ed empatia. Saggezza, lungimiranza ed empatia che ne riscatteranno la figura di fronte ai tribunali della storia, non fosse bastato l’eminente appoggio degli staffieri della stalla giornalistica di regime. Avveduto, come è stato, nel deliberare dopo aver guardato dritto negli occhi le sue schiere, come solo i veri leader sanno fare. Attraverso gli occhi dei singoli è arrivato all’anima della Nazione, così restia, dopo la disdetta Monti, ad essere presa di nuovo per le corna dalle irragionevoli ragioni contabili di un tecnocrate. In virtù di questo percorso di riconoscimento reciproco è giunto alla scelta, come primo ministro, di quel campione del popolo italiano che risponde al nome di Carlo Cottarelli. Faccia da torroni-western, zainetto in spalla di stretta prammatica post-istituzionale, provinciale di natali, ma Internazionale di fede calcistica e politica. L’uomo che l’Italia acclamava.

 

 

 

 

Un governo del Presidente, dunque, che si riscopre devoto alla sovranità popolare di cui sarà augusto garante, in un neologismo sincratico dall’afflato sentimentale: Cottarella. Le ore burrascose del grande rifiuto a Savona sembrano lontane. Le minacce d’impeachment risuonano ora come ingenerose intimidazioni verso un custode che ha fatto solo l’interesse dei nostri risparmi. Certo, lontani come siamo dai soffocanti orizzonti della spending review way of life anche due parole sul Bail-in si potevano spendere, forse ancor più temibile del pur patibolare Savona; una paterna rassicurazione a quei correntisti truffati che Conte poneva addirittura come priorità assoluta del suo governo essere sussurrata, ma non è questo il momento di spezzare il barbiglio in quattro. I saputelli dei corsi serali in multimedialità degli sticazzi ci hanno spesso ricordato, meritoriamente, che i presidenti del Consiglio non si eleggono. Vengono piuttosto nominati. Ed è vero. Ci sentiamo allora autorizzati a scrivere, con veemenza liberatoria, che dopo quattro governi nominati a capriccio dal capo dello Stato (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni), finalmente è stato nominato un premier condiviso, non calato dall’alto, ma concertato con il palpitante consenso di un elettorato che fin da subito se ne era infatuato. #feelingcottarella

 

 

 

 

 

 

 

 

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