La mia scrivania non ha paura del caos
Odiosi. Arrivano in ufficio e guardano la tua scrivania con un mezzo sorriso di disprezzo. Nel retrobottega del loro cervello disegnano un post-it con la scritta «inaffidabile» e te lo appiccicano in fronte. In meno di un quarto d’ora hanno già trovato la massima morale che certifica la condanna: è dalle piccole cose che si valutano le persone. Minimalisti. Le piccole persone si misurano dalle cose piccole, le grandi… È una questione di proporzioni. Lasciate stare pure quella storia dell’ordine spaziale come specchio della mente. Amleto aveva ragione: «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia». Se non basta Shakespeare, ascoltate Einstein, anche lui con il basso ventre massacrato da qualche collega: «Se una scrivania disordinata è sintomo di una mente disordinata, che cos’è allora una scrivania vuota?». Vuota.
Ma, attenzione, quel disordine che voi vedete sul tavolo non nasconde alcun segreto. Non è sintomo di malattia. E, parliamoci chiaro, non rivela nessun talento. È solo ciò che è: un mondo che prende vita. Fogli che si spostano alla ricerca di un terreno migliore. Scontrini di perduti amori che si imboscano tra il telefono e la stampante. E lettere di rettifica che il direttore ti ha chiesto di conservare con cura. Magia. Questi fogli latitanti si costituiscono proprio quando lui, scettico, te ne chiede conto. La fortuna aiuta chi crede nel caos. E disarma i direttori.
Tutto ritorna. E se non torna non serve. È qui la differenza tra i caotici e gli ordinati. Gli uomini del «cosmos» cercano la legge universale di tutte le scrivanie. Tremano, terrorizzati dall’imprevisto, orfani di una vita senza senso. Chi crede nel caos invece non ha paura. Naviga, naufrago, con l’umana consapevolezza che le leggi dell’universo, se esistono, mutano di terra in terra. Mettere tutto al proprio posto non è inutile. È folle.