Trump_lawIn ogni campagna elettorale è normale che spuntino scoop giornalistici, più o meno fondati, sui candidati in corsa. È il ruolo della stampa libera, chiamata a scavare in profondità per trovare eventuali scandali sui politici, costringendoli a chiarire i fatti fornendo spiegazioni (a volte scusandosi in pubblico) e, nei casi più gravi, ritirare la propria candidatura. O, in altri casi, facendo perdere le elezioni ai politici smascherati. Spesso, però, la stampa non si limita a svolgere il ruolo sacrosanto di “cane da guardia”, fondamentale per la democrazia, ma indossa l’elmetto e va alla guerra per “fini politici”. Insomma, chiariamoci subito: certe campagne di stampa vengono orchestrate ad arte con il solo scopo di gettare discredito su questo o quel candidato, per demolirne l’immagine e, alla fine, farlo soccombere. Ma può succedere anche che un candidato, dopo innumerevoli attacchi, finisca col rafforzarsi. È il caso, ad esempio, di Donald Trump, che sin dall’inizio è stato preso di mira da buona parte della stampa, anche perché lui stesso ha impostato la sua campagna comunicativa usando la tattica dello “shock and awe” (colpisci e terrorizza): attaccare i suoi avversari – e non solo quelli – senza giri di parole e senza mai avere peli sulla lingua, alzando sempre il livello dello scontro. E ogni volta che è stato messo all’indice ha risposto colpo su colpo, finendo sempre al centro dell’attenzione dei media e spendendo pochissimo per ottenere visibilità.

Ora spunta un’inchiesta, pubblicata da Usa Today, che potrebbe causargli non pochi danni in termini di credibilità. Vediamo subito di cosa si tratta: il miliardario è accusato di avere un “brutto vizio”, non pagare chi lavora per lui. Negli ultimi 30 anni gli sono state fatte migliaia di cause legali. “Donald Trump descrive spesso se stesso come il salvatore della classe dei lavoratori, colui che proteggerà i loro posti di lavoro ma un’inchiesta – si legge su Usa Today – rileva che è stato oggetto di oltre 3.500 cause negli ultimi tre decenni, molte delle quali riguardano americani comuni che accusano Trump o le sue compagnie di essersi rifiutati di pagarli”.

REX DONALD TRUMP CAMPAIGN RALLY LAS VEGASIl giornale racconta la storia di carpentieri, ebanisti, fornitori di pianoforti, camerieri, baristi, imbianchini e avvocati. Di recente Trump sarebbe stato citato in giudizio 60 volte. Tra le ultime vertenze documentate dal quotidiano, ci sono quelle promosse da una ditta di vetri del New Jersey, una società di tappeti, 48 camerieri, decine di baristi, agenti immobiliari che hanno venduto le sue proprietà e persino alcuni studi legali.

Trump respinge le accuse: “Diciamo che fanno un lavoro che non va bene, un lavoro non finito o finito in ritardo e ovviamente io lo scalo dal contratto”. Di sicuro il candidato repubblicano avrà modo di tornare sull’argomento e di difendersi. Ovviamente bisogna vedere come vanno a finire le cause. Non è detto, infatti, che Trump abbia torto. Può averlo, così come può avere ragione. E ogni causa fa storia a sé. Bisognerebbe anche sapere quante volte Trump e le sue aziende siano state effettivamente condannate a pagare. Se però venisse fuori che, da parte di Trump, c’era – diciamo così – l’abitudine a fare il “furbetto” (ripetiamo, è tutto da dimostrare), per il candidato repubblicano potrebbe essere un duro colpo.

Intanto, però, attendiamo anche gli sviluppi  sul famoso “emailgate“, lo scandalo relativo al trasferimento della posta elettronica del Dipartimento di Stato sul server privato di Hillary Clinton. Anche questa è una brutta storia. Vedremo come andrà a finire e in che modo influenzerà gli elettori americani.

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