Tra meno di un mese migliaia ragazzi italiani affronteranno i test di ammissione alle facoltà universitarie a numero chiuso per calcare aule di atenei come il Politecnico o la Bocconi di Milano, l’Università Cattolica, la Luiss o la Sapienza di Roma. Lavori artigianali o esperienze imprenditoriali a parte, dagli anni dell’università dipende spesso la possibilità di trovare un posto di lavoro, soprattutto in un momento difficile come l’attuale, dove quasi un giovane su tre è senza impiego e milioni di italiani sono stati messi alla porta dalle aziende a causa della crisi. Dopo il post in cui abbiamo analizzato quali sono le facoltà che aprono le porte del mondo del lavoro, chiediamo a  Cristina Pasqualini, docente di Metodologia delle scienze sociali all’università Cattolica di Milano,  quali sono gli strumenti più efficaci per orientarsi nel percorso di studi, come sfruttare l’eventuale stage per farsi assumere e che cosa studiare per avere un impiego.

 

La crisi ha insegnato ai giovani che cosa è meglio studiare e in quali tempi?

«Grazie soprattutto alle nuove tecnologie (internet e social network) e ai tradizionali canali informativi (tg, programmi televisivi di approfondimento, oltre che giornali) e relazionali (la famiglia, la scuola e gli amici), i giovani hanno una conoscenza approfondita del mercato del lavoro italiano. Hanno ben chiaro quali sono le professioni più spendibili nel nostro Paese e sanno muoversi con sufficiente autonomia all’interno dell’ampia offerta formativa, individuando e scegliendo – con il sostegno morale ed economico della famiglia – il corso di studi migliore, nelle università più qualificate, in Italia e non solo».

 

Quindi i giovani scelgono sempre più le lauree scientifiche…

«Lo sanno i giovani e Almalaurea lo ripete da anni con le sue preziose indagini: le lauree scientifiche consentono di accedere più spesso a mestieri aderenti al titolo di studio conseguito, in tempi brevi, retribuiti dignitosamente, restando anche in Italia. All’opposto e lauree umanistiche si trovano in uno stato di generale “sofferenza”, producono un numero superiore di disoccupati di lunga durata, aprono carriere lente e poco remunerate. Stando così le cose, potremmo immaginare che la maggioranza dei giovani oggi scelga percorsi di studi tecnico-scientifici, seguendo appunto le ragioni oggettive piuttosto che quelle del cuore. In realtà continuiamo ad immatricolare e a laureare in Italia sia ingegneri che letterati. Non sempre di qualità, purtroppo. La scelta è spesso davvero sofferta. Nelle more della scelta, il 75% dei diplomati sa cosa non vorrebbe più studiare, ma solo il 51% ha compreso quali materie di studio preferisce».

 

Come si può aiutare l’orientamento negli studi?

«I giovani arrivano alla scelta del percorso universitario da intraprendere dopo ampie valutazioni, contrattazioni, usufruendo sempre più spesso di percorsi di orientamento a partire già dal periodo delle superiori. Almaòrientati è una applicazione (www.almaorientati.it)  – presente sia come percorso sul web sia nella versione App, quest’ultima decisamente più smart  – pensata da Almalaurea per aiutare i giovani a prendere consapevolezza del loro grado di conoscenza del mercato lavorativo, dell’offerta lavorativa, mettendo a fuoco le proprie attitudini e inclinazioni. La somma di tutte queste dimensioni offre al giovane un profilo personalizzato. I risultati possono sorprendenti, soprattutto se si fa questa verifica a posteriori, ovvero a scelta già avvenuta. Si tratta in sostanza di un esercizio che, sottoforma di gioco, porta il giovane quanto meno a prendere coscienza di una serie di questioni di cui tener conto quando si sceglie un percorso universitario».

 

Che cosa consiglia?

«In questi tempi di crisi, mi sento di dare almeno due consigli ai giovani: innanzitutto non perdere tempo, provando a mettere a fuoco con lucidità che mestiere vorrebbero fare da grandi, in modo da individuare sede e tipologia di studi più adeguate; in secondo luogo accettare il fatto che ciascuno ha delle naturali inclinazioni, una intelligenza più sviluppata delle altre, che è bene assecondare e valorizzare il più possibile. Non farlo potrebbe essere addirittura controproducente, quanto meno a livello di autostima. In altre parole, non possiamo essere tutti ingegneri, non possiamo farci entrare per forza in testa la matematica, mentre punterei invece ad avere sia ingegneri che letterati preparati e motivati. La regola non scritta potrebbe essere questa: piuttosto che fare male un percorso di studi che apre a sbocchi occupazionali “sicuri” è meglio farne uno  – fosse anche umanistico –  molto bene e nei tempi previsti. In questo caso lo studio paga ancora».

 

Quali sono le facoltà che assicurano subito un lavoro?

«In Italia, la facoltà che consente ai giovani di uscire e di trovare un lavoro in tempi piuttosto celeri e uno stipendio dignitoso è Medicina, oltre che, se consideriamo il 2012, Scienze della comunicazione, seguite da Ingegneria, Scienze politiche, Giurisprudenza ed Economia. Minori garanzie sono offerte dalle facoltà di Filosofia, Lettere, Architettura e, soprattutto, Psicologia. Da docente nel corso di laurea triennale in Comunicazione e Società (http://milano.unicatt.it/corsi-di-laurea/comunicazione-e-societa-comes-piano-degli-studi-2013-2014), incontrando nelle aule tanti ragazzi e ascoltando le loro storie mi sono fatta l’idea che i percorsi di studio politico-sociali-comunicativi rappresentino  una buona occasione formativa, forse il compromesso migliore tra scientifico e umanistico, il compromesso più indolore per chi prova a mediare tra ragioni del cuore e ragioni oggettive».

 

Per quali motivi?

«I laureati in queste  disciplinare trovano ancora interessanti opportunità lavorative anche in Italia, molto probabilmente perché escono con una “mente ben fatta”, per citare il teorico del pensiero complesso Edgar Morin, una mente flessibile e interdisciplinare, oltre che con una visione multi-prospettica e internazionale dei problemi. Quello che serve, in un mondo che cambia così velocemente, talvolta così complicato da risultare addirittura indecifrabile. Oggi, molte aziende prediligono proprio queste caratteristiche, che vanno a testare durante i colloqui di selezione. Piuttosto che iper-specialisti incancreniti, le imprese si orientano su persone che hanno sviluppato le “intelligenze multiple”, creative, intelligenti, preparate, ma capaci di riconfigurarsi tatticamente in base alle necessità che di volta in volta sopraggiungono nella propria azienda, nel settore lavorativo di competenza. Per specializzarsi c’è tempo e si può fare anche in itinere mentre si lavora già, mentre l’università, e prima ancora la “scuola dell’obbligo”, ha il compito di allenare la mente ad elaborare ampie visioni, oltre a possibili soluzioni ai problemi, perché no! In ultima analisi, i giovani sanno quali sono i corsi di studio e i mestieri più appeal in Italia. È un bene che lo sappiano. Ciò non toglie che vale la regola richiamata sopra: ciascuno segua le proprie inclinazioni, mediando, ma senza snaturarsi».

 

Che cosa pensano i giovani del Nord e quelli del Centro-Sud?

«All’interno del progetto Rapporto Giovani curato dall’Istituto Toniolo di Milano (www.rapportogiovani.it), abbiamo realizzato dal 2011 ad oggi 18 focus group in 6 città italiane – Bergamo, Pisa, Bari, Palermo, Udine e Milano – intervistando giovani che già lavorano, giovani in transizione, che stanno decidendo se continuare gli studi universitari o meno, oltre che studenti universitari. Coloro che già lavorano, hanno scelto mestieri per cui è sufficiente un diploma, ma si mostrano piuttosto soddisfatti della propria scelta. In Italia non è semplice trovare un lavoro con una laurea e non lo è neppure per chi ha solo un diploma, anche se paradossalmente le retribuzioni in un caso e nell’altro si equivalgono, almeno all’inizio della carriera. I giovani intervistati sono lavoratori “ in potenza”, ovvero stanno scegliendo cosa fare del loro futuro. Al Sud parlano di andare a studiare a Roma e a Milano, ma contemplano comunque molto spesso un ritorno, anche se sul territorio di origine le possibilità di lavoro sono scarsissime. Al Nord questa componente si sente meno: i milanesi studiano a Milano, sono consapevoli di vivere in una città che offre una buona formazione e ne usufruiscono. Al Nord come al Sud i giovani vogliono fare i medici, gli ingegneri e gli economisti – soprattutto i maschi – e le femmine in prevalenza le scienziate politico-sociali e i mestieri legati all’insegnamento primario e secondario oltre che alla cura (professioni infermieristiche, assistenti sociali). Differenze di genere si ritrovano uguali in lungo e in largo per lo Stivale. Non mancano tuttavia le eccezioni: le ragazze che aspirano a carriere di fisico e, addirittura, astrofisico».

 

 Quali sono le facoltà o i corsi universitari con maggiori contatti con le imprese ?

«Nei piani di studi di quasi tutti i corsi di laurea è diventato obbligatorio, o quanto meno vivamente caldeggiato, realizzare una esperienza di stage in Italia o all’estero, che lo studente può utilizzare per testare le proprie competenze, imparare a lavorare in équipe, mettere in pratica le  teorie acquisite. Molti atenei dedicano molto tempo e energie per attivare canali virtuosi con il mondo delle imprese, in modo che questi due universi complessi siano sempre più collegati tra loro. Non solo nelle “storiche” università scientifiche per definizione – Bocconi, Politecnico di Milano e di Torino – ma anche in numerose facoltà umanistiche si organizzano stage finalizzati ad imparare a fare. In Università Cattolica di Milano, per citare la mia esperienza, la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali ne attiva di interessanti.

 

Ma gli stage spesso non si traducono in un’assunzione…

«È chiaro che chi fa uno stage non deve essere messo a fare fotocopie,  ma non deve neppure avere la presunzione di essere assunto una volta terminato il periodo. Lo stagista deve avere la possibilità di osservare chi un mestiere lo conosce e lo sa fare, la possibilità di mettersi alla prova, così come avveniva in passato per i giovani che andavano nelle botteghe degli artigiani ad imparare un mestiere. Questo non sempre accade in Italia. Sono note le battaglie portate avanti in questi anni da numerose associazioni. Una tra tutte, richiamo il lavoro di Repubblica degli Stagisti (www.repubblicadeglistagisti.it), volto a riconoscere i diritti degli stagisti, non da ultimo una retribuzione seppur minima. Resta il fatto che le università non sono agenzie di collocamento: non spetta loro preoccuparsi di trovare un lavoro ai giovani, ma di formarli adeguatamente per consentire loro di intraprendere la professione per cui hanno studiato senza incontrare difficoltà “insormontabili”.  Per sdrammatizzare, segnalo a riguardo la webserie ironica visionabile su YouTube, realizzata da Cambio Paese (un progetto lanciato in Facebook), in cui gli stessi giovani mettono in scena la loro condizione di giovani, italiani e disoccupati. In particolare,  nel video “Stage a 1 euro” si evince chiaramente il valore intrinseco dello stage, diciamo così».

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