Le zie non sono gentiluomini
In tutta onestà, non posso certo considerarmi un estimatore di Matteo Salvini e del leghismo militante in genere. Sono agenti della semplificazione e come tali non fanno onore alla verità. In più mi urtano il senso estetico. Ciò precisato, il fronte che li aggredisce rappresenta la reificazione di un delirio collettivo ormai fuori controllo. Impregnato da un credo totalitario e stolido, esattamente come gli invasati che ci terrorizzano. Questo credo nasce dall’onda lunga dell’antifascismo, passa dai post-sessantottini e arriva a calcificarsi nel benpensante, suo campione contemporaneo; una faccia di culo epocale che spaccia – innanzitutto a se stesso – il narcisismo morale per virtù, il capriccio per diritto civile e il conformismo per progressismo.
Ieri Ernesto Galli della Loggia, dalle pagine del Corriere della Sera, rampognava con saviezza la sinistra sedicente progressista, accusandola di non capire quanto il progresso si stia rivelando esplicitamente regressivo, per confortare il pensiero del giornalista con la dialettica dell’Illuminismo. Una miopia che va oltre l’anomalia refrattiva e diventa ottenebramento dello spirito. Eppure i cittadini di questa sinistra rappresentano tuttora una consistente parte degli italiani come degli occidentali in generale, e si dividono, proprio come gli islamici, in moderati e fanatici. I primi predicano una tolleranza abborracciona, un pensierino da oratorio laico/circolo Arci, che costa poco eppure ripaga con la rispettabilità e la coscienza pulita; gli altri, molti dei quali coltivate signore di mezza età, sono talmente pacifisti, antirazzisti, antisessisti, antifascisti, che se non la pensi come loro ti fracasserebbero la schiena con un cric. Il classico passaggio di un «hater» è: «Leghista maiale sai solo insultare«. E se fai notare il loro, di insulto, ti insultano. Un altro: «Il populismo fomenta l’odio; alimenta psicosi». E se rilevi come siano forse gli squilibrati che sparano alle ragazze con i kalashnikov o dirottano mezzi pesanti per asfaltare ignari passanti, o più banalmente i banditi che ti entrano in casa nottetempo, a fomentare l’odio e ad alimentare psicosi, ti accusano di populismo.
Vorrei devotamente vestire la tonaca del pretino benpensante per un attimo e domandare: ma per quale ragione, in nome del rispetto nei confronti delle altre culture, dell’accoglienza verso le altre sensibilità, del pluralismo delle idee, se suggerisco che gli islamisti sono beduini ignoranti e misogini vengo rilasciato con ignominia, mentre se affermo che i leghisti sono un branco di squallidi minus habentes – come spesso strillato dalle Gualmini di questo mondo – parte l’applauso?
Uno fra i refrain del pensiero autorizzato è appunto: «Sono razzisti, sottosviluppati che parlano alla pancia della gente»; ciò che non si dice è che anche questo venefico impasto di pose intellettuali, buonismo programmatico, finta apertura mentale e terzomondismo da quarto mondo, che non sa giudicare, ma solo dare giudizi e che è causa del grandinare di masse allo stato brado sul fragile cristallo della nostra identità collettiva… parla alla pancia; almeno alla mia, perché stimola fulminanti attacchi di dissenteria.
Questi tromboni à la page sono laicisti disincantati, guardano con malcelato disprezzo alla venerazione cristiana, puntano il dito sui preti – antropologicamente inclini alla pedofilia – sulle ingerenze della Chiesa, ma diventano meravigliosamente indulgenti con gli islamisti che parlano di sgozzare l’infedele; femministi avanguardisti in prima linea contro la violenza sulle donne, ma convintamente comprensivi verso antiche culture mediorientali dove si lapidano le adultere per strada; in marcia per i diritti gay come per i diritti di chi getta gli omosessuali dai tetti. Stanno dalla parte dei derelitti di ogni parte del globo, ma se vedono un operaio in tuta da lavoro provano insofferenza, snobbano il pensionato derubato e schifano il barbone; si allarmano per «le destre» che alitano sul collo della civilizzazione, ma sono alternativi di sinistra con il Submariner al polso. Fino a qualche manciata di anni fa erano sì repellenti, ma inoffensivi; ora sono pericolosi per la nostra stessa incolumità.
Questa farsa progressista raggiunge infatti il suo apogeo ai confini della questione «muri». Alzare muri è sbagliato, barbaro, si ruggisce. Non si fa, zotici! Inclusione è civiltà, esclusione è inciviltà. Sempre un po’ a corrente alternata, come ricordato l’altro ieri a proposito di Serra, perché se Trump alza muri è un troglodita xenofobo; se la Clinton suggeriva di rafforzare le barriere al confine e deportare i messicani sgraditi, una realista piena di dolente coraggio. Affermazioni di squisito sentire cristiano, benché espresse laicamente, quindi, perché le nostre membra dovrebbero essere sempre inclini all’abbraccio, non alla cacciata.
Ancora ieri, il martire Magdi Cristiano Allam, nello studio di Piazza Pulita, cercava di far riflettere il consesso liberal in studio sulla civiltà dei muri. Sul caos, sull’anarchia di un mondo che li abbattesse completamente. In tutta risposta, la giornalista Rula Jebreal lo molestava con i tipici scherzi da carnevale benpensante, detonando bisbetiche fialette puzzolenti perbeniste e lanciando bizzose manciate di coriandoli che vagheggiavano una dimensione dove il giallo, il nero, il bianco, il musulmano, l’ebreo e il cristiano, convivono pacificamente; un mondo che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa, passando da Malcom X attraverso Gandhi e San Patrignano… arriva da un prete di periferia che va avanti nonostante il Vaticano. Tutti sono benvenuti; tranne Magdi Allam, i leghisti, i lepenisti, i trumpiani, i grillini, i berlusconiani, i lettori de il Giornale etc. Questa è cultura dell’accoglienza! Civiltà dell’inclusione!
Lo stesso Corrado Formigli, anfitrione fin lì piuttosto lucido, è stato vittima del riflesso condizionato tartufo segnalando ad Allam che la civiltà è andata avanti e non c’è più bisogno di muri. Naturalmente noi tutti aspiriamo ad abitare un cosmo dove anche il cancello d’ingresso risulti superfluo, per non parlare di doppie mandate, cani da guardia, allarmi, codici di sicurezza, telecamere e magari una doppietta; ma questo pianeta, hélas, non è ancora stato abitato. E siamo certi che anche la Jebreal, tornata a casa, avrà consumato il sonno delle sue ragioni al sicuro dietro quattro mura e una porta blindata.
I jihadisti, ubriachi dei loro vaneggiamenti su Dio e sulle vergini, sono determinati a cadere in battaglia; le anime belle di tutto l’Occidente invece sono pronte a farsi sventagliare, a farci sventagliare, con viva preferenza per la seconda, ubriache della loro stessa fanatica coglioneria. E dovranno accontentarsi di un epitaffio che reciti:
«Giace qui da qualche parte. Visse da fasullo, morì da ciula, ma cielo!… non fu mai populista, non fu mai leghista».